LA RICETTA SBAGLIATA DI MONTI – Liberalizzazioni? No, servono meno tasse

di Claudio Romiti

Il governo Monti starebbe per avviare la tanto decantata fase 2, con lo scopo primario di rilanciare l’economia del Paese. Nella sostanza si tratterebbe di un congruo pacchetto di liberalizzazioni onde rendere più agevole l’accesso ad alcune professioni protette da steccati normativi, migliorando nel contempo la concorrenza in tali settori.

Ora, in linea di principio l’intento non può che essere visto con favore da chi crede nel principio della libera iniziativa di mercato come motore principale dello sviluppo. Tuttavia, non sulla base dei magnifici manuali che sicuramente rappresentano il bagaglio culturale di molti dei professori al governo, bensì partendo dalla reale condizione del nostro sistema, una domanda viene spontanea alla mente: dopo aver portato la pressione fiscale a livelli altissimi, tali da far concorrenza ai Paesi più tassati del globo, può servire come contrappeso una azione di pur sostanziale liberalizzazione delle professioni per arginare l’ulteriore perdita di stimolo ai consumi ed agli investimenti che un simile aumento delle imposte determina? Francamente penso che si possa rispondere un deciso no!

In sostanza, tanto l’esperienza storica acquisita, quanto il buon senso ci dicono che nessun incentivo alla produzione di ricchezza può esservi nell’ambito di uno Stato che rastrella ben oltre metà della ricchezza.
Per dirla in altri termini, l’attuale pressione fiscale, unita a quella occulta legata ai costi burocratici, risulta assolutamente incompatibile per incentivare qualunque forma di rischio d’impresa.

Soprattutto chi ha già avuto a che fare con l’esosità di una mano pubblica che non sembra avere limiti nel prelievo ai danni delle imprese, soprattutto quelle piccole e quelle medie, ci pensa due volte a rientrare in un mercato con un socio di maggioranza, lo Stato, che si limita solo a riscuotere, senza offrire un pari corrispettivo in termini di servizi reali.

Allo stesso modo, nel caso dell’abbattimento di alcuni anacronistici paletti protezionistici, l’idea di lavorare fino a luglio per pagare le tasse non rappresenta un allettante prospettiva per tutti quelli che da tempo ambiscono ad avere un proprio taxi o a vendere liberamente farmaci di fascia C. Da questo punto di vista, ad uno sbarramento burocratico imposto dalle lobby ammucchiate a difesa dei loro privilegi, se ne sostituisce uno ben peggiore: quello di un governo sanguisuga il quale, esigendo l’impossibile ed oltre, blocca sul nascere qualunque velleità imprenditoriale.

Ed a nulla può servire l’abbattere qualunque monopolio di categoria, se poi lo Stato mantiene e poi, addirittura, accresce quello legato al controllo delle risorse. In questo forse il professor Monti, pur essendo un valente commissario europeo alla concorrenza, deve ancora chiarirsi le idee.
Intanto non possiamo che “consolarci” con lo spread che balla pericolosamente oltre la soglia del fallimento tecnico dello Stato.

Claudio Romiti