Le regole che in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia consentono alle banche di iscrivere nel capitale i cosiddetti ‘deferred tax assets’ potrebbero nascondere una forma di aiuto di stato, ed in quanto tali essere vietate dall’Unione europea. Il caso è stato sollevato da una anticipazione del Financial Times. La Commissione oggi ha confermato che, sulla spinta di “diversi stakeholder, tra i quali alcuni parlamentari europei” soprattutto spagnoli (almeno sei le interrogazioni presentate a partire da novembre 2013, tre delle quali da parte del liberale Ramon Tremosa i Barcells), sono state chieste informazioni ai quattro governi precisando che al momento “non c’è un’inchiesta formale”.
Fonti dell’esecutivo europeo precisano che la richiesta di informazioni è partita da qualche mese e che Bruxelles ha già avuto le prime risposte. Che però evidentemente non sono state sufficienti a chiudere la questione.
In gioco, nei quattro paesi, asset per un totale di molte decine di miliardi di euro. Con le principali banche spagnole e greche più inguaiate delle altre, avendo tra il 30% ed il 40% del capitale Core Tier 1 costituito appunto da ‘Dta’.
Al centro della vicenda, le cosiddette “imposte anticipate” (ovvero un credito – presunto – nei confronti dello Stato) che talvolta concorrono a determinare i coefficienti patrimoniali definiti dai criteri di Basilea III. Le norme sulla qualità di capitale prevedono che i ‘Dta’ vengano completamenti cancellati dagli asset patrimoniali entro il 2019. E già cinque anni fa dopo un confronto tra Abi, Ministro del Tesoro e Bankitalia, con il consenso della Bce, è stato adottato lo schema che l’Eurotower ha sostanzialmente validato inaugurando a novembre scorso la nuova stagione della supervisione bancaria centralizzata.
Ma ad essere nel mirino come possibili aiuti stato sono ora le garanzie che i governi devono offrire perché le banche possano trasformare i ‘Dta’ in crediti certi e computabili. E che aprono due scenari di possibili rischi: da una parte, per le banche, quello di vedersi cancellati miliardi di capitale se gli Stati dovessero cambiare le norme fiscali; dall’altra, per gli Stati, quello di dover veramente versare le somme se le banche ne avessero improvvisamente bisogno. (ANSA).