La direzione nazionale Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia), sigla numericamente più rappresentativa dell’islam italiano, chiede, in una “circolare alle associazioni islamiche Ucoii” diffusa oggi alla stampa a “tradurre in italiano” il sermone rituale in moschea (come “molte associazioni” già fanno “da anni”) al fine di permettere ai musulmani che non parlano arabo di comprenderne il significato della predicazione con “l’indubbio vantaggio”, inoltre, “di eliminare ingiusti sospetti in merito al contenuto del sermone”.
“La recitazione rituale del Corano in arabo, durante la preghiera è elemento fondante e sacrale dell’adorazione di Allah, immutabile e insostituibile”, si legge nella nota. “Tuttavia, i sapienti hanno autorizzato, da molti secoli, la traduzione dei significati del Libro di Allah, in maniera che anche le persone non arabe ne potessero comprenderne il senso e ricavarne monito e guida in questa vita, seguire i suoi insegnamenti e sperare nel compenso senza fine, nel Jennah.
Oggi la nostra comunità in Italia è sempre più variegata, oltre ai fratelli e le sorelle arabofoni, molti altri credenti musulmani vivono nel nostro Paese e frequentano le moschee. Questi musulmani, italiani, bangladeshi, pakistani, albanesi, macedoni, turchi e molti africani, nella loro grande maggioranza non comprendono l’arabo e presenziano alla preghiera del venerdì per pura obbedienza ma senza trarre dal sermone gli insegnamenti necessari al rafforzamento della conoscenza in merito alla loro, nostra, religione.
Per questa ragione – scrive l’Ucoii, guidfato dall‘imam Izzedin Elzir – v’invitiamo tutti, anche se molte associazioni già lo fanno da anni, a tradurre la khutba in italiano e pronunciarla anche in questa lingua comune a tutti. Inoltre – conclude la circolare – questa pratica, lecita, necessaria e virtuosa, avrà anche l’indubbio vantaggio di eliminare ingiusti sospetti in merito al contenuto del sermone che noi ben sappiamo essere sempre rivolto all’insegnamento del bene e della giustizia”.