Uno dei due fratelli accusati dell’attacco contro Charlie Hebdo, si sarebbe recato nello Yemen nel 2005 – e poi in Iraq nel 2008 – prima di rientrare in Francia e finire sotto processo. Lo ha detto alla Cnn il ministro degli Esteri della Giustizia francese.
Si tratterebbe di Said Kouachi, ora ricercato con il fratello Cherif. Secondo i media Usa, proprio nello Yemen, Said sarebbe stato in seguito, nel 2011, addestrato dall’Aqap, il ramo di al Qaida nella Penisola arabica.
il 7 gennaio a Parigi, era già apparso in un reportage del 2005 della tv francese, che aveva raccontato il suo arresto e la sua condanna a 3 anni di carcere. Allora fu definito un “adorabile ragazzo”, sviato da un reclutatore, Farid, che gli aveva riempito la testa. Cherif spiegò di essersi addestrato e di avere imparato a usare il kalashnikov. Ma l’assistente sociale che lo seguì durante la carcerazione preventiva sostenne che era un bravo ragazzo, aveva capito gli errori e si era pentito. Fu così liberato e non scontò nulla della pena che gli era stata comminata.
Mentre Parigi piange Charlie Hebdo e in Piccardia continua la caccia all’uomo, la Francia torna a interrogarsi sull’efficacia dei sistemi di sorveglianza dei potenziali soggetti pericolosi sul suo territorio. Anche questa volta infatti, come per l’assassino di Tolosa Mohamed Merah e l’assalitore del Museo ebraico di Bruxelles Mehdi Nemmouche, uno dei killer era già noto alle forze dell’ordine come musulmano radicalizzato, ed era addirittura già stato in prigione per aver fatto parte di un gruppo jihadista.
Condannato nel 2008, poi era sparito – Il più giovane dei due fratelli, Cherif Kouachi, era stato fermato nel 2005, mentre si apprestava a partire per Damasco da cui intendeva poi raggiungere l’Iraq, per unirsi alle milizie di fondamentalisti islamici nel Paese. Nello stesso anno, l’allora ventitreenne era addirittura apparso in un reportage televisivo, una puntata della trasmissione d’inchiesta ‘Pièces a conviction’ di France 3 sulla radicalizzazione dei giovani islamici. Presentato come un “allievo assiduo” dell’imam estremista Farid Benyettou, che dal 19/o arrondissement di Parigi convinceva dei volontari ad andare a combattere in Iraq. “Farid mi ha detto che i testi (sacri) danno prove dei benefici degli attacchi suicidi – raccontava Cherif agli autori del reportage – E’ scritto nei testi che è una cosa giusta morire da martiri”.
Apparteneva a “filiera jihadista” – Tre anni dopo, nel 2008, Cherif Kouachi viene condannato, proprio per la sua appartenenza a questa ‘filiera jihadista’, a tre anni di carcere di cui 18 mesi con la condizionale. Ma una volta uscito di prigione riesce a sfuggire alla sorveglianza dei servizi segreti e tornare nell’anonimato, spostandosi da Parigi alla più periferica Reims. E ora in molti si chiedono se non sarebbe stato possibile accorgersi della sua pericolosità. “Il parlamento vorrà necessariamente sapere, non ho ancora risposte per queste domande”, ha detto stamattina il premier Manuel Valls, sottolineando che al momento “la priorità è arrestare i terroristi che hanno compiuto questo atto abominevole”.
Mezzi limitati dell’intelligence – Interpellato dalla radio France Info, l’avvocato specializzato in terrorismo Thibauld de Montbrial mette in causa i mezzi limitati dell’intelligence: “I nostri servizi sono molto efficaci, ma la direzione generale della sicurezza interna non ha un numero di funzionari estensibile all’infinito”, spiega, sottolineando che non sempre è possibile monitorare in modo costante e preciso tutti i potenziali sospetti.