Il 7 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l’Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana. — Presidenza del Vicepresidente Tupini
Vengono qui riportate solo le parti relative all’articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.
Capua. […] Onorevoli colleghi, allorché si afferma che la Repubblica ha per fondamento il lavoro e della dizione di «lavoratore» non di «cittadino» si fa una condizione essenziale per i diritti politici, o si fa della demagogia, o — scusate l’espressione — si scopre l’America.
Perché, se ci atteniamo alla organizzazione sociale vigente in Italia, credo sia difficile trovare chi non concorra allo sviluppo materiale e spirituale della società, conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta. È questa l’espressione che voi usate negli articoli per definire il lavoratore.
Così stando le cose, credo che non si dovrebbe riuscire ad escludere dai diritti politici neppure il più tipico dei rentiers, colui che vive di rendita, perché se egli afferma che, amministrando le sue rendite, compie un lavoro od una funzione sociale, poiché sull’amministrazione delle rendite ci vive tanta gente (in banca, in borsa), egli avrà ragione. E se gli si obietta che egli amministra male, può rispondere che, così facendo, il suo patrimonio passerà ad altri; ed anche questa è funzione sociale.
Ho sentito, sempre dall’onorevole Laconi, al quale chiedo scusa di chiamarlo spesso in argomento…
Presidente Tupini. Credo che l’onorevole Laconi ne sia contento.
Capua. …che bisogna aprire le porte al popolo, perché esso possa permeare — della sua linfa vitale — questa frase l’ho aggiunta io, perché è bella — tutti i posti direttivi dello Stato.
Onorevole Laconi, su questo c’è l’accordo più completo; però, l’accordo non è solo di adesso, ma del 1848 in poi; e vi spiegherò perché.
Noi, in Italia, dal 1848 in poi, non abbiamo mai avuto un sistema sociale che presuma caste chiuse o privilegi di classe. (Interruzioni — Commenti). Se mi usate la cortesia di ascoltarmi fino in fondo, vi convincerete che nelle mie parole c’è un fondamento di verità, un po’ amaro, ma c’è.
Anche col vecchio ed ancora presente Statuto albertino vi era la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori, intesi come singoli, non come massa, alla organizzazione economica, politica e direi anche sociale del Paese. (Commenti).
Una voce. Non potevamo neppure votare.
Capua. In Italia anche questa è acquisizione di molti anni fa!
Noi stessi ed i nostri padri abbiamo visto umili figli delle classi più modeste giungere ai più alti posti direttivi, nell’agricoltura, nella banca, nell’industria, nello Stato. Mi permetterò di ricordare qui le meravigliose parole di Emanuele Gianturco, parole che ricordo perché scolpite in una lapide che si trovava di fronte alla finestra della mia cameretta di studente in Napoli: «Umili ebbi i natali e avversa la fortuna, e questa vinsi e quelli nobilitai, con la sola perseverante virtù del lavoro».
Da molti anni in qua nessun privilegio di classe era in Italia. (Proteste — Rumori a sinistra).
Il fatto stesso che l’onorevole Di Vittorio si risente dimostra che ho colpito nel segno.
Noi abbiamo visto giorno per giorno questa linfa vitale del popolo salire attraverso un duro lavoro e concretarsi in quella classe direttrice che solo per necessità polemica voi chiamate con dispregio borghesia, ma che è popolo evoluto, come voi siete popolo evoluto, e quindi anche voi borghesi in questo senso; sinché non avrete dimostrato che esiste una definizione della parola borghese che permette di includerci dentro soltanto noi e non voi! (Commenti).
Se poi volete, come delle frasi che qui ho udite, aprire le porte del Governo esclusivamente ai rappresentanti di una determinata categoria di popolo, vi risponderò democraticamente: se sarete maggioranza, ebbene sia!
Staremo a vedere se sarete maggioranza. In ogni caso io sento il bisogno di affermare qui dentro che anche lì dove la formula da voi difesa si è affermata e il capitale è stato trasferito allo Stato, la critica storica deve ancora dimostrare se veramente si è raggiunta la giustizia sociale e se — cosa questa più importante — risultati simili ed anche migliori non si sarebbero potuti raggiungere in regime libero.
Ed allora, stando le cose così, se l’affermazione che noi facciamo è pura affermazione dottrinaria noi, per dirla con una nota frase, portiamo vasi a Samo e nottole ad Atene.
Se noi invece intendiamo fare affermazioni specifiche che diano indirizzo al legislatore futuro, io vedo in ciò un’idea non espressa, un pensiero nascosto, un’ipoteca che si vuol fare sulla legge costituzionale. Allorché si afferma che l’adempimento del lavoro è condizione per l’esercizio dei diritti politici, io ho il diritto di chiedermi: chi deve giudicare della qualifica di lavoratore? Perché, indubbiamente, è inutile una qualifica amplissima da cui nessuno sia escluso. Ad un certo punto si avrà il diritto, in base a quella Costituzione, di giudicare chi è lavoratore e chi non lo è.
E chi dovrà giudicare?
Non potrà giudicare altro che il potere politico, il quale avrebbe ad un certo punto il diritto, in base ad una nuova etica, di affermare che soltanto certe categorie di lavoratori possono usufruire dei diritti politici ed altre no, perché solo alcune concorrono allo sviluppo materiale e spirituale della società!
Cosa significa concorrere allo sviluppo materiale o spirituale della società? Quali sono gli elementi etici fondamentali di questa affermazione e quali i limiti?
È qui il problema!
Questo è uno di quegli argomenti che l’Assemblea ha il dovere di discutere e cercare di sviscerare fino in fondo, perché, se questa affermazione è di indole generica, nel senso che intende includere chiunque nello Stato eserciti una qualsiasi attività, allora è pleonastica la precedente affermazione che soltanto chi lavora ha i diritti politici. Ognuno infatti, uomo o donna che sia, così nel grande come nel piccolo, esercita una funzione sociale e quindi lavora.
Se questa, onorevoli colleghi, è invece un’affermazione che ha l’intendimento di dare al legislatore il diritto di limitare a determinate categorie di cittadini l’esercizio dei diritti politici, noi dobbiamo chiedere che se ne indichino anticipatamente e specificatamente i limiti.
Tutela del lavoro ?
Ma quando mai? L’Europa non la vuole!.
E per Europa intendo coloro i quali legiferano e governano in nome dell’Unione Europea.
In primis, Angela Merkel (sorda ad ogni critica – persino all’irriverente “FicK dich, frau Merkel” = “Vaffanculo, donna Merkel”, indirizzatole da molti suoi connazionali, principalmente della Germania dell’Est) e, dipoi a seguire, gli altri leaders del Consiglio d’Europa, della Commussione europea, della BCE e del Parlamento europeo.
Tutte (o quasi) sfrontate marionette, manovrate dal Potere Monetario e dalle sue molteplici lobbies (esempio: “Business Europe”, l’associazione lobbistica che rappresenta 41 confederazioni imprenditoriali europee, comprese Confindustria e le altre PMI italiane).
La ”pistola fumante”?
Non è un segreto. Chiamasi REFIT
http://ec.europa.eu/smart-regulation/refit/index_it.htm