18 nov – Gli investimenti di società riconducibili alla galassia della finanza islamica in Italia, tra il 2013 e il 2014, sono aumentati del 60% portando il valore complessivo a circa 1 miliardo di dollari statuitensi. Lo ha detto Licia Mattioli, presidente dell’Unione industriale di Torino e della Commissione tecnica per gli investimenti esteri di Confindustria, nel corso del secondo giorno e ultimo di lavori del Turin Islamic Economic Forum (Tief) nel capolouogo piemontese.
Le operazioni complessive, ha sottolineato Mattioli, sono passate dalle 9 dello scorso anno alle 19 del 2014.”La finanza islamica – ha spiegato la presidente dell’Unione industriale – entra per fare un investimento come socio di capitale di lungo termine ed è molto utile per molte delle nostre piccole e medie imprese italiane, che sono spesso sottocapitalizzate”. Secondo i dati di Confindustria le imprese estere che investono in Italia spendono mediamente 2.000 euro in più in Ricerca&Sviluppo per ogni addetto rispetto alle aziende locali. “Per questo – ha sottolineato Mattioli – capitali che arrivano da investitori esteri possono dare una spinta ulteriore alla nostra impresa. Molto spesso chi viene dall’estero è più grande e può trarre benefici da un network di servizi e mercati più ampio”.
In particolare, in Italia, il valore aggiunto è pari in media a 74 mila euro per addetto per le imprese estere, mentre per le nazionali si ferma a 60 mila. “Il fatto è che con la globalizzazione non vale più il detto ‘piccolo è bello'”, ha spiegato l’esponente di Confindustria. Inoltre, ha evidenziato ancora, “la finanza islamica rappresenta un’opportunità perché investendo solo in comparti etici e puntando sulla sostenibilità dei conti rafforza la responsabilità di impresa”. “In Italia – ha concluso Mattioli – le società che seguono le norme della sharia possono trovare terreno fertile per investire, perché molte delle nostre aziende adottano già nel proprio business criteri etici”.