Per associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, tentata corruzione, concussione e abuso d’ufficio legati ai finanziamenti statali assegnati per la gestione delle emergenze ambientali nei siti di interesse nazionale (Sin) sono indagate 26 persone, tra le quali anche un ex direttore del ministero dell’Ambiente. Agli indagati è in corso di notifica un avviso di garanzia. L’inchiesta partita dalla procura di Udine è poi approdata a Roma; il denaro sottratto all’erario sarebbe “molto consistente”.
L’indagine, partita da una segnalazione alla Procura di Udine sul denaro erogato in un decennio per lo stato di emergenza del sito di interesse nazionale della Laguna di Grado e Marano, è poi confluita in una inchiesta analoga aperta a Roma. Ne è emersa l’esistenza di un’ associazione, costituita da più persone, che avrebbe concepito e alimentato lo stato di emergenza ambientale al solo scopo di ottenere denaro pubblico dal ministero del Tesoro, apparentemente finalizzato alle bonifiche, ma sostanzialmente utilizzato per alimentare e mantenere l’apparato organizzativo.
In pratica, secondo la magistratura, i presunti problemi ambientali sarebbero stati lo strumento per pilotare cospicui finanziamenti statali verso società appositamente costituite in cambio di utilità consistenti per lo più nell’assunzione del personale di volta in volta segnalato da vari interlocutori, nonché nell’assegnazione di incarichi di progettazione da destinare sempre ai soliti amici.
Nel registro degli indagati sono finiti i nomi di funzionari romani del ministero dell’Ambiente e delle società in-house dello stesso, dirigenti dell’Ispra e dell’Arpa, degli ex commissari dell’emergenza in laguna nonché dipendenti di alcune società già coinvolte nello scandalo del Mose, come il Consorzio Venezia Nuova.
Ideatore e promotore del sistema sarebbe stato, secondo gli inquirenti, un ex direttore generale del ministero dell’ambiente. Secondo i magistrati, promettendo denaro e commesse sia al commissario delegato che all’Ispra, alimentava il sistema clientelare, conferendo arbitrariamente incarichi pagati con denaro pubblico, astrattamente destinato a risolvere problemi ambientali che in realtà venivano reiterati e garantiti a soggetti che a lui dovevano “supina obbedienza”. E “si creava una corte di persone di fiducia la cui presenza in qualità di esperti e collaboratori aveva solo la funzione di consentirgli una gestione incontrastata del territorio”.
Nell’indagine anche vicenda ‘Caffaro’
Tra i meccanismi “lucrativi” oggetto dell’indagine sulle bonifiche “gonfiate”, la Procura fa rientrare anche il progetto faraonico di risanamento ambientale con barriere fisiche che alcuni degli indagati avrebbero voluto imporre al sito industriale della Caffaro, l’azienda chimica di Torviscosa (Udine), unica area in cui, insieme al canale Banduzzi, ci sarebbe stato un effettivo inquinamento. Secondo la magistratura, però, il progetto da 230 milioni di euro predisposto da Sogesid (che per la progettazione aveva ricevuto un compenso di 1.150.000 euro), sarebbe stato “tecnicamente improponibile ed economicamente insostenibile”, “incompatibile con la situazione di insolvenza” dell’azienda “decotta” e che per legge “doveva perseguire l’obiettivo di ricollocare nel mercato il complesso aziendale e salvaguardare il livello occupazionale”. Prescrizioni che erano “strumenti utili a ottenere denaro dalla Regione Friuli Venezia Giulia da “travasare” alle società “amiche”, posto che dal 2008 il ministero dell’Ambiente non erogava più risorse economiche. ANSA
2 novembre 2014