18 luglio – Interessante esperimento del governo spagnolo. Dopo aver passato anni ottenendo continui allungamenti ed accomodamenti nel percorso temporale di rientro dal deficit, ora annuncia un programma di tagli d’imposta per il 2015 e 2016, che vanno dritti in rotta di collisione con la Commissione europea e le sue raccomandazioni ma anche con quelle dell’Ocse. Considerando che l’anno prossimo in Spagna ci saranno elezioni politiche, a pensar male si fa peccato, eccetera eccetera.
Per il Partito Popolare di Mariano Rajoy, giunto al potere nel novembre 2011 con la promessa di tagliare le imposte, ma successivamente travolto dalla gravissima crisi finanziaria del paese e costretto ad alzare pesantemente Irpef ed Iva, questo è un palese tentativo di indennizzare in extremis gli elettori. La manovra si basa in parte sulle raccomandazioni di un panel indipendente di esperti fiscali nominati dal governo, ma in non pochi punti se ne discosta radicalmente.
Il pacchetto, atteso all’approvazione parlamentare entro fine anno, prevede, tra le altre misure, il taglio dell’aliquota Irpef più bassa, dal 24,75% al 20% nel 2015 ed al 19% nel 2016. L’aliquota massima, che era stata innalzata “temporaneamente” al 52% dopo la crisi, scenderà il prossimo anno al 47% ed al 45% nel 2016.
Secondo il governo, il contribuente spagnolo medio pagherà circa il 12,5% in meno di imposte. Un miracolo, non trovate? Benefici anche per le imprese, con aliquota Ires attesa passare dal 30% attuale al 25% nel 2016, con eccezione di banche e società petrolifere, che non avranno sconti. Le imprese di nuova costituzione avranno un’aliquota Ires agevolata del 15% sui primi 300.000 euro di utili.
Interessante il fatto che, per ridurre l’incentivo al finanziamento con debito rispetto a quello con capitale proprio, la deducibilità degli interessi passivi sarà limitata al 30% degli utili aziendali. A beneficio invece del nostro premier e del suo cenacolo di progressisti intenti a colpire le “rendite pure” purché non si tratti di titoli di stato (che però non sono ricchezza, Padoan dixit), al grido “facciamo come in Europa!”, la Spagna ha deciso di cambiar verso. Pertanto l’imposta sul capital gain, modellata secondo una griglia di aliquote in funzione del reddito di capitale percepito, è destinata a scendere. Oggi la sequenza è 21-27%, nel 2016 diverrà 19-23%. Inoltre, verrà abolita la discriminante speculativa, oggi basata sul periodo di possesso inferiore ad un anno.
Ma l’aspetto ancor più interessante è che il pacchetto fiscale verrà effettuato in deficit, stimato dal governo in 9 miliardi di euro, pari all’1% del Pil, con palese intento lafferiano e pure in spregio delle raccomandazioni di Bruxelles. Il governo stima che l’impulso di crescita sarà dell’ordine dello 0,55% cumulativo nel 2015-16.
La Commissione europea ed il panel domestico di “saggi” fiscali avevano invece raccomandato di innalzare l’Iva dal 21 al 23% per finanziare (a pareggio) un taglio del costo del lavoro sui contributi sociali, una sorta di svalutazione interna “classica”, utilizzata anche dalla Germania una decina di anni addietro.
Il governo ha invece deciso di spostare alcuni farmaci dall’aliquota Iva agevolata del 10% a quella ordinaria. Tra le altre misure di aumento di gettito (fermo restando, come detto, che la manovra è fatta a deficit), viene eliminata la deduzione per gli affitti, e viene ridotta ad un massimo di 8.000 euro annui quella per contributi ai fondi pensione (in Italia è di poco superiore ai 5.000 euro).
A compensazione di ciò, e verosimilmente per dare una mano alla raccolta bancaria diretta e renderla meno volatile, viene creato uno schema fiscale di esenzione d’imposta per il risparmio nella forma di depositi bancari quinquennali. Inoltre, viene (bizzarramente) eliminata l’agevolazione fiscale (tassazione separata) per i pagamenti ricevuti a seguito di risoluzione di rapporto di lavoro, che vengono invece riportati a tassazione piena, ad aliquota marginale Irpef.
Che dire, di questa manovra? In primo luogo, che rappresenta una palese violazione dei vincoli europei, e già questo è molto interessante, nel senso che sarà interessante vedere le conseguenze.
Evidentemente, il governo spagnolo sta scommettendo sulla famosa “flessibilità”, reinterpretata a proprio uso e consumo, e soprattutto attuata senza formale via libera da Bruxelles. Un gambling in piena regola, innescato dal ciclo elettorale di deficit pubblico.
Attendiamo sviluppi ed eventuali reazioni a catena, incluse (alla fine) quelle dei mercati. E pure quelle qui da noi, dove gli eserciti pavloviani si fronteggeranno facendo risuonare alto il grido “facciamo come in Spagna!”, contrastato dall’immancabile “ma loro hanno meno debito di noi!”
Articolo scritto da Mario Seminerio per Trend Online – che ringraziamo.