10 luglio – Sono giorni di lavoro intesa alla Camera dei deputati, prima della pausa estiva. Si lavora al nuovo bilancio pluriennale, e sono in programma tagli alla spesa molto sostanziosi.
Al centro dell’attenzione la ristorazione, gli affitti ma soprattutto gli stipendi d’oro. E non stiamo parlando in questo caso degli stipendi degli “onorevoli”, ma di quelli dei 1.500 lavoratori di Montecitorio.
Come racconta oggi Repubblica, costano 310 milioni di euro, cui vanno aggiunte le spese per i pensionati: altri 227 milioni di euro.
Il 50 per cento delle spese della Camera è per loro, i deputati incidono invece “solo” per il 25 per cento.
Laura Boldrini si sta accorgendo però che tagliare è difficile, quasi impossibile forse. I sindacati non ci stanno, e le polemiche interne divampano.
Il Parlamento gode della “autodichia” prevista dall’articolo 64 della Costituzione: in sostanza le Camere hanno una giurisdizione riservata sullo status giuridico ed economico dei propri dipendenti, che viene quindi definito attraverso atti interni – i regolamenti – non modificabili dalla legge. Un istituto nato dopo la dittatura per garantire l’indipendenza del legislatore, ma che negli anni ha creato privilegi oggi insostenibili e quasi inattacabili.
Stipendi livellati verso l’alto, con alcune figure ormai “mitiche”, spesso presenti nei discorsi da bar degli italiani.
Se la Boldrini riuscisse nell’impresa, sarebbe la fine di alcuni casi di remunerazioni che stridono con quelle presenti nel resto del Paese. Oggi barbieri, elettricisti, autisti e centralinisti entrano con uno stipendio imponibile lordo di 30mila euro l’anno cui si aggiungono contributi previdenziali per altri 5.300 euro: dopo 10 anni la retribuzione sale oltre i 50mila euro, ma a fine carriera un barbiere o un centralinista con 40 anni di servizio guadagna circa 136mila euro (al netto di 24mila euro di contributi previdenziali). I commessi (nel rapporto di 0,7 per deputato) per un lavoro non diverso da quello di un usciere d’albergo guadagnano addirittura di più.
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