L’autolesionismo italiano si manifesta in ogni ambito, anche nel calcio

Lettera a ImolaOggi

italia-mondialiEgregio Direttore,

è triste doversi ripetere, ma da anni esprimo il mio disappunto per il pensiero dominante improntato all’autolesionismo degli Italiani, che si manifesta in ogni ambito, non risparmiando neppure il gioco del calcio. E’ cocente tra gli Italiani la delusione per l’uscita al primo turno ai Mondiali in Brasile, ma ancora più deprimente è il modo in cui questo bel risultato è stato raggiunto.

A voler entrare nei particolari, ci sarebbe molto da dire, ma mi voglio astenere, per analizzare la situazione con il maggior distacco possibile e per fotografarla, per così dire, nella sua prospettiva storica. Per usare un’espressione un po’ consumata, il calcio sarà pure lo sport nazionale degli Italiani, ma sta di fatto che ai più alti livelli, cioè nella serie A, viene giocato dagli stranieri. Di ciò si mena anche gran vanto: da qualche parte, forse in tivù, devo aver sentito una sorta di spot del tipo: “vi ricordate quando in serie A c’erano solo giocatori italiani? Ora invece una direttiva europea ci consente un calcio di livello internazionale. Per fortuna che l’Europa c’è”. Se non proprio così, era qualcosa del genere. E questa sarebbe una fortuna?

Ho più di un dubbio in proposito. Anni fa la Commissione Europea abolì la regola stabilita dal presidente della FIFA Joseph Blatter che prevedeva un numero massimo di cinque giocatori stranieri nelle squadre di club. Il risultato è che ora gli stranieri sono la maggioranza. Come si possono definire ancora “squadre italiane”? Penso che il frutto di queste più o meno libere scelte lo abbiamo visto in questi giorni in Brasile. Sappiamo che le direttive comunitarie spesso riguardano cose come la curvatura delle banane o le sanzioni da comminare alle botteghe del pesce che omettono di affiancare al nome volgare anche il nome latino della specie ittica messa in vendita, e quindi non ci meravigliamo più di tanto per la scarsa utilità (o forse sarebbe meglio dire la scarsa intelligenza) di alcune indicazioni. In questo caso, però, a essere poco avveduti siamo noi, disposti ad abbracciare con entusiasmo le idee più peregrine per utilizzarle a nostro svantaggio.

Certo, l’applicazione calcistica di questo autolesionismo eretto a pensiero dominante è cosa di poco conto rispetto alle molte altre che qui evito rigorosamente di citare per non ripetermi ulteriormente e che saranno causa di rovina per ciò che resta del popolo che, non senza sacrifici, ha reso grande questo Paese. Il risultato, che nessuno spot intenderà evidenziare, perché la dittatura del politicamente corretto lo vieterebbe, è che, a forza di acquistare a suon di milioni giocatori dall’estero, quelli italiani nella serie A tendono all’estinzione e in compenso i giocatori stranieri lautamente pagati, o meglio strapagati, ai Mondiali ce li ritroviamo a giocare contro quei pochi superstiti raccolti a formare una specie di nazionale.

Detto in termini un po’ rozzi e grossolani, viene a mancare il “vivaio”, cioè la materia prima con cui imbastire una squadra nazionale. Come ripeto, a mio avviso, questo è comunque l’ultimo dei problemi che può avere l’Italia, quando consideriamo che i nostri giovani più preparati, con una o più lauree in mano, sono costretti ad abbandonare questo disgraziato Paese, per loro diventato inospitale. Dunque non mi dispero proprio per i risultati dei Mondiali. Mi pare che un proverbio dica qualcosa come “mal che si vuole non duole”. Credo proprio che il nostro sport nazionale non sia il calcio, ma l’autolesionismo.

Con i più distinti e cordiali saluti.

Omar Valentini, Salò