Lettera a ImolaOggi di Omar Valentini
credo non sia difficile constatare che da almeno un paio d’anni tutti i dati macroeconomici stanno dimostrando come le ricette dell’austerità, presentate come la soluzione al problema, rappresentino invece esse stesse il problema. Più che sortire un buco nell’acqua, esse hanno infatti progressivamente peggiorato la situazione.
Il debito pubblico è aumentato più velocemente che in passato, migliaia e migliaia di aziende hanno chiuso i battenti per eccesso di credito (per insolvenza dello Stato nei loro confronti), la disoccupazione ha raggiunto livelli mai registrati prima. E’ come se nuotassimo contro corrente: per quanti sforzi facciamo per raggiungere il traguardo, la corrente ci trascina indietro e ci allontana sempre più da esso.
L’Italia si presenta come un paziente emorragico per il quale è necessaria una terapia intensiva. Prima lo si dovrà salvare con una trasfusione, poi si provvederà alle cure successive. Perdere tempo farà peggiorare la situazione. La trasfusione necessaria è quella di moneta. Lo Stato deve pagare i suoi debiti verso le aziende. Queste non dovranno chiudere e verrà fermata l’emorragia di posti di lavoro. E’ solo un primo passo, ma necessario e importante.
Dobbiamo liberarci del ricatto dello “spread”, che può essere manovrato ad arte dalla speculazione internazionale. Se gli Stati Uniti, il Giappone o il Regno Unito non avessero avuto una moneta propria e se, anziché le ricette di Keynes, avessero seguito quelle che impone a noi la Troika, ora si troverebbero ancora in mezzo al guado, incapaci di uscire, come invece hanno fatto, dalle sabbie mobili in cui si sono venuti a trovare con lo scoppio della bolla speculativa dei derivati e la crisi mondiale innescata dalla Lehman Brothers nel 2008. Noi invece nella palude stiamo ancora sprofondando.
Se lo Stato possiede una moneta propria ne può fare l’uso previsto da tutti i trattati di economia: può cioè stamparla al bisogno, senza dover chiedere prestiti. Ciò non è possibile con l’euro, che è una moneta comune a più Stati. Chi è sprovvisto di moneta propria non può stamparne la quantità che gli serve per superare l’emergenza ed è quindi costretto a prenderla in prestito, pagandola con gli interessi, che sono tanto più alti quanto maggiore è la speculazione dei mercati, cioè quanto maggiore è lo “spread”.
Al salire dello “spread” fa automaticamente seguito l’imposizione di politiche di austerità semplicemente demenziali per il corto circuito che esse innescano verso la recessione. Quando noi siamo entrati nell’euro la Gran Bretagna stava peggio di noi. Ora sta invece molto meglio. Domandiamoci perché. E’ facile rispondere che la ragione sta nell’estrema inefficienza del sistema italiano, che andrebbe rivoltato come un calzino. Come si può non essere d’accordo? Certo, è senz’altro così. Ciò però non spiega perché, prima che entrassimo nell’euro, anzi, prima ancora che entrassimo nello Sme, l’economia italiana andava niente male, nonostante l’inefficienza del sistema fosse esattamente quella attuale.
Mi sembra infatti che il sistema (caratterizzato da sprechi, ritardi, burocrazia, leggi inapplicate o inapplicabili, e così via) non sia né migliorato, né peggiorato da allora, ma piuttosto sia rimasto tale e quale. Nel 2008 la Gran Bretagna riuscì ad assorbire la crisi facendo comprare alla propria Banca Centrale i titoli di Stato necessari per finanziarsi, turando una falla di gigantesche dimensioni (gli Inglesi erano saturati di titoli tossici come pochi altri al mondo). L’Italia nelle stesse condizioni sarebbe affondata sotto lo “spread” e non avrebbe comunque ottenuto la copertura finanziaria sufficiente. Anziché finire seppellita sotto lo “spread”, la Gran Bretagna, stampando moneta, scelse la via più sicura della svalutazione. Superata la tempesta, adesso naviga in acque più tranquille.
Uscendo dall’euro prenderemmo due piccioni con una fava. Potremmo stampare moneta per pagare i debiti dello Stato verso le aziende private e frenare l’emorragia di posti di lavoro. L’immissione di nuova moneta avrebbe come conseguenza una svalutazione che renderebbe più conveniente produrre in Italia piuttosto che acquistare dall’estero. Sarebbe anche meno vantaggiosa la delocalizzazione all’estero delle nostre aziende, perché si ridurrebbe il divario di costo sulla manodopera. Si assisterebbe a un rilancio delle esportazioni per la maggiore competitività dei nostri prezzi. Tutto ciò favorirebbe la ricostruzione del tessuto industriale del nostro malandato Paese.
Sarebbe qui utile fare anche alcune altre considerazioni che scaturiscono dalla teoria delle Aree Valutarie Ottimali, per capire come l’utilizzo di una moneta unica richieda specifiche condizioni che attualmente non esistono nell’eurozona. A chi fosse motivato ad approfondire questi argomenti consiglio senz’altro la lettura del libro di Alberto Bagnai “Il tramonto dell’euro”, ricchissimo di documentazione e altamente meritevole di lettura, che si può “scaricare” gratuitamente in formato pdf da Internet (per es. dal sito ebookbrowsee.net/ba/bagnai). Informarsi aiuta a decidere e credo che sia bene farlo, per il nostro avvenire e per quello dei nostri figli.
Con i più cordiali saluti.
Omar Valentini, Salò