30 apr – La prima cosa sono gli affari. I leader del Comitato popolare di lotta per la casa, al centro di un’indagine della Procura di Roma per associazione a delinquere a fini estorsivi, avevano creato un vero business sulla disperazione dei senza tetto, fatto di continue richieste di denaro.
Il percorso di illegalità per ottenere un alloggio iniziava dallo «sportello per le emergenze abitative»: uno situato in via delle Acacie, l’altro in via del Quarticciolo. Lì ci si poteva iscrivere al Comitato «ispirato a valori propri dell’ideologia della sinistra antagonista – spiega il pm – e qualificatosi, solo apparentemente, come struttura a difesa dei più deboli». La quota d’iscrizione era di 10-20 euro al mese, ma agli arabi veniva chiesto fino a un migliaio di euro. Per non essere cancellati dalle liste d’attesa, bisognava partecipare alle riunioni, alle manifestazioni di piazza e alle occupazioni.
«Chi saltava per tre volte di seguito le assemblee o si rifiutava di occupare veniva cancellato dalle liste». Le modalità operative erano ben scandite: la «squadra dei sopralluoghi» individuava l’edificio, il giorno precedente il blitz i responsabili del comitato davano ai «prescelti» un appuntamento tramite sms (senza indicare il sito da occupare), i bambini e le donne incinta avevano il compito di fungere da scudo in caso di intervento delle forze dell’ordine. Una volta ottenuto l’agognato tetto sotto il quale dormire, cominciavano le richieste di denaro e di prestazioni di lavoro gratuite, pena l’allontanamento o il trasferimento in residence: descritti dalla leader Maria Giuseppa Vitale (detta Pina) come dei luoghi pericolosi, dove si fa violenza su donne e bambini, circola droga e si fa abuso di alcol.
La prima «tassa» per restare negli alloggi era di 100 euro al mese, da destinare al cosiddetto fondo cassa per il pagamento di inesistenti bollette, visto che i consumi energetici erano frutto di allacci abusivi. Ogni famiglia, inoltre, era tenuta a pagare 500 euro per rifare l’impianto fognario o 700 euro per l’acquisto dello scaldabagno. Dai 1.000 ai 4.500 euro sono costati, invece, i materiali destinati alla ristrutturazione delle aule scolastiche da trasformare in mini appartamenti, con la prospettiva di ottenere il rimborso da parte di un fondo stanziato dall’Unione europea. Chi si è prestato a ristrutturare il proprio alloggio o a fare gli allacci abusivi ha percepito come compenso 400 euro per 19 mesi di lavoro. Ogni piccolo intervento edilizio veniva pagato dalle famiglie a caro prezzo: 100 euro per installare l’interruttore della luce o l’antenna, 150 euro per spostare il quadro elettrico.
Una marocchina è stata costretta a versare a Vitale 500 euro al mese per poter abitare in uno sgabuzzino («allagato dalla fogna e con i topi morti dentro») all’interno della palestra dell’ex scuola «Amerigo Vespucci» di via delle Acacie 56. Proprio lì la stessa Pina soggiornava gratuitamente insieme al compagno e ad altri sei rappresentanti del comitato. Nel frattempo, mentre loro estorcevano i soldi ai più deboli, il Comune di Roma pagava i proprietari dello stabile per l’affitto 21.500 euro ogni mese.
Secondo la ricostruzione fatta dal pubblico ministero, nell’ordinanza che ha portato al sequestro di tre degli immobili occupati (tra cui l’ex istituto Vespucci), chi si ribellava o non pagava, diventava vittima di continue vessazioni: la minaccia di rimanere senza acqua, luce, gas o riscaldamento; di essere cacciato, anche a costo di nascondere all’interno dell’alloggio dosi di droga e poi chiamare la polizia.
«Siete a casa mia – ripeteva Vitale ai disperati – dovete fare quello che dico io, altrimenti andate a pagare l’affitto da qualche altra parte o vi mando ai residence». Le famiglie erano inoltre obbligate ad attaccare i manifesti di Serena Malta per la sua candidatura alle elezioni regionali con la lista «Rivoluzione civile Ingroia», a votarla e a farla votare da almeno altre 5 persone. Gli uomini erano costretti a effettuare i picchetti antisfratto, le donne dovevano comprare, a proprie spese, gli alimenti da cucinare all’«Hosteria da Pina» (soprattutto piatti tipici arabi) e di fare le pulizie, il tutto senza percepire alcun compenso.
Valeria Di Corrado – Il Tempo – www.iltempo.it
Non smettono mai di vergognarsi e sarebbero quelli, sinistroidi per interesse, che dovrebbero tutelare i meno abbienti? Non aggiungo altro per evitare querele.