Martin Wolf sul Financial Times porta avanti la discussione sulla moneta, affrontando uno dei maggiori tabù: il potere immenso di creare moneta oggi è concentrato nelle mani del sistema bancario, e la cosa non funziona.
29 apr – Il gigantesco buco nel cuore delle nostre economie di mercato ha bisogno di essere tappato
Stampare banconote contraffatte è illegale, mentre la creazione di moneta privata non lo è. L’interdipendenza tra lo Stato e le imprese che dispongono di questo potere è la fonte di gran parte dell’instabilità delle nostre economie. Si potrebbe – e si dovrebbe – metterci un freno.
Ho spiegato come funziona due settimane fa . Le banche creano depositi come conseguenza dei loro prestiti. Nel Regno Unito, tali depositi costituiscono circa il 97 per cento dell’offerta di moneta. Alcuni obiettano che i depositi non sono soldi, ma solo debiti privati trasferibili. Eppure il pubblico considera i soldi falsi delle banche come denaro elettronico: una fonte sicura di potere d’acquisto.
L’attività bancaria quindi non è una normale attività di mercato, perché fornisce due beni pubblici collegati: la moneta e la rete dei pagamenti. Su un lato dei bilanci delle banche si trovano le attività rischiose; sull’altro, le passività che il pubblico ritiene sicure. Questo è il motivo per cui le banche centrali agiscono come prestatori di ultima istanza e i governi forniscono l’assicurazione dei depositi e le iniezioni di capitale. E’ anche il motivo per cui il sistema bancario è fortemente regolamentato. Eppure i cicli del credito sono ancora estremamente destabilizzanti.
Che cosa si deve fare? Una risposta minima lascerebbe questo settore in gran parte inalterato, limitandosi a una regolamentazione più stretta e insistendo sul fatto che una percentuale maggiore del bilancio debba essere finanziata con capitale o con debito credibile per assorbire le perdite. Ho discusso questo approccio la scorsa settimana. Requisiti di capitale più alti sono la raccomandazione fatta da Anat Admati di Stanford e Martin Hellwig dell’Istituto Max Planck, in The Bankers’ New Clothes.
Una risposta massima sarebbe quella di dare allo stato il monopolio nella creazione di moneta. Una delle più importanti proposte in tal senso era quella contenuta nel Piano di Chicago, avanzata negli anni ’30, tra gli altri, da un grande economista, Irving Fisher. Il suo punto centrale era il requisito del 100% di riserve sui depositi. Fisher sosteneva che questo avrebbe ridotto notevolmente i cicli economici, messo fine alle corse agli sportelli e ridotto drasticamente il debito pubblico. Uno studio del 2012 dello staff del Fondo Monetario Internazionale suggerisce che questo piano potrebbe funzionare bene.
Idee simili sono giunte da Laurence Kotlikoff della Boston University in Jimmy Stewart is Dead , e da Andrew Jackson e Ben Dyson in Modernising Money. Riporto qui una sommaria descrizione di quest’ultimo sistema.
In primo luogo, lo Stato, non le banche, dovrebbe creare tutta la moneta per le transazioni, così come oggi crea il denaro contante. I clienti terrebbero i propri soldi nei conti correnti, e pagherebbero alle banche una tariffa per la loro gestione.
In secondo luogo, le banche potrebbero offrire dei conti di investimento, che fornirebbero i prestiti. Ma potrebbero prestare solo i soldi effettivamente investiti dai clienti. Sarebbero impediti dal poter creare questi conti dal nulla e così diventerebbero gli intermediari che ora molti credono erroneamente che siano. La titolarità di questi conti non potrebbe essere riassegnata come mezzo di pagamento. I titolari dei conti di investimento sarebbero vulnerabili alle perdite. I regolatori potrebbero imporre su questi conti dei requisiti patrimoniali e altre norme prudenziali.
In terzo luogo, la banca centrale creerebbe nuova moneta quando questa si mostrasse necessaria per promuovere la crescita non inflazionistica. Le decisioni sulla creazione di moneta dovrebbero, come ora, essere prese da un comitato indipendente dal governo.
Infine, il nuovo denaro sarebbe immesso nell’economia in quattro modi possibili: per finanziare la spesa pubblica, in luogo delle imposte o dei prestiti; per effettuare pagamenti diretti ai cittadini; per riscattare debiti esistenti, pubblici o privati; o per fare nuovi prestiti attraverso le banche o altri intermediari. Tutti questi meccanismi potrebbero (e dovrebbero) essere resi trasparenti.
La transizione verso un sistema in cui la creazione di moneta è separata dalla intermediazione finanziaria sarebbe fattibile, anche se complessa. Ma porterebbe enormi vantaggi. Sarebbe possibile aumentare l’offerta di moneta senza incoraggiare le persone a prendere in prestito all’eccesso. Porrebbe fine al “too big to fail” nel settore bancario. Sarebbe anche possibile trasferire il signoraggio – i benefici derivanti dalla creazione di moneta – al pubblico. Nel 2013, per esempio, la sterlina M1 (il denaro dei depositi) era l’80 per cento del prodotto interno lordo. Se la banca centrale decidesse di farla crescere del 5 per cento all’anno, il governo potrebbe avere un deficit fiscale del 4 per cento del PIL, senza prestiti o tasse. La destra potrebbe decidere di tagliare le tasse, la sinistra di aumentare la spesa. La scelta sarebbe politica, come dovrebbe essere.
Gli oppositori sostengono che l’economia morirebbe per mancanza di credito. Una volta ero d’accordo. Ma solo il 10 per cento dei prestiti bancari del Regno Unito ha finanziato gli investimenti delle imprese in settori diversi dalla proprietà immobiliare. Potremmo trovare altri modi per finanziare questo settore.
Il nostro sistema finanziario è così instabile perché prima lo stato gli ha permesso di creare quasi tutta la moneta dell’economia e poi è stato costretto a assicurarlo nell’esercizio di tale funzione. Si tratta di un gigantesco buco nel cuore delle nostre economie di mercato. Potrebbe essere chiuso separando la emissione di moneta, che è giustamente una funzione dello Stato, dalla fornitura di finanziamenti, che è una funzione del settore privato.
Questo non accadrà ora. Ma ricordiamo questa possibilità. Quando la prossima crisi arriverà – e sicuramente arriverà – dobbiamo essere pronti.