18 apr – Gli aiuti dell’Unione Europea hanno distrutto il Portogallo. Dopo Irlanda e Grecia, è la russa Pravda a parlarci di ciò che succede al Portogallo, inabissatosi in una crisi demografica senza precedenti indotta dalla crisi economica e dagli “aiuti” della Troika. C’è una certa ironia nel fatto che tra i pochi a parlarci di questa ennesima catastrofe, scomparsa dai radar dei nostri media liberi, ci sia quello che fino a due decenni fa la voce popolare indicava come il “megafono del potere” sovietico…
Traduzione di Sa1nt_Simon
Il Portogallo, membro dell’Unione europea dal 1986, sta rapidamente perdendo la sua popolazione a causa dell’emigrazione significativa. In termini di indicatori economici, il Portogallo si avvicina al livello dei paesi meno sviluppati dell’Europa orientale. Il declino è diventato particolarmente rapido tre anni fa, quando il Portogallo ha cominciato a ricevere assistenza finanziaria da parte dell’Unione europea. Non è una strana coincidenza?
Il paese si sta deteriorando politicamente, economicamente e moralmente. Il debito pubblico e la disoccupazione sono in aumento, e sempre più persone abili in età riproduttiva stanno lasciando il paese. Secondo i dati dell’Observatório da Emigração, dal 2008 circa 400.000 persone hanno lasciato il Portogallo; in termini di percentuale sulla popolazione totale (10,6 milioni di persone) è il secondo tasso più alto in Europa dopo Malta, che ha una popolazione di poco meno di un milione di persone. Il paese ha perso un quinto delle sue risorse di manodopera qualificata.
Inoltre, secondo i media portoghesi, il Portogallo è diventato il paese con il minor numero di immigrati in percentuale sulla popolazione totale.
Secondo l’Associação Portuguesa de Psicologia da Saúde ocupacional, nove portoghesi su dieci vogliono cambiare la loro vita e sono insoddisfatti del proprio lavoro. L’Associazione avverte che lo stress continuo e la depressione causano un danno significativo alla salute pubblica. Le stesse conclusioni possono sicuramente riferirsi a tutti i paesi della “periferia sud” dell’Unione Europea.
Tutti questi paesi hanno previsto tagli alle spese di bilancio per salari, pensioni, sicurezza sociale e privatizzazioni, il che comporta una riduzione significativa di posti di lavoro. In particolare, secondo le statistiche europee, Lituania, Romania e Bulgaria sono senza speranza.
Il Portogallo riceve aiuti attraverso le tranche di prestiti da parte dell’UE (per un totale di 78 miliardi di euro). Il programma di assistenza è stato stanziato nel 2010, per favorire la ripresa economica e per pagare l’enorme debito pubblico. Tuttavia, sembra che nel corso dei tre anni la situazione non si sia stabilizzata, ma anzi sia peggiorata.
“Il Portogallo è vicino ai paesi meno sviluppati dell’Europa orientale” ha detto Rui Pena Pires, in rappresentanza dell’Università di Lisbona ISCTE – IU, al giornale Económico. Rui Pena Pires ritiene che la situazione possa essere corretta, ma tutto dipende dalla ripresa della crescita economica. Secondo Pena Pires, se questo processo viene ritardato sarà molto difficile correggere il declino demografico, e vi è anche il rischio di peggiorarne le conseguenze.
Gli esperti stimano che l’esodo dei portoghesi sia al livello di 100-120.000 persone all’anno. Analizzando le qualifiche e la fascia di età degli immigrati, sono giunti alla conclusione che coloro che se ne vanno sono principalmente lavoratori semi-qualificati che dispongono di mezzi sufficienti per affittare abitazioni all’estero, e possiedono un piccolo capitale per sopravvivere per qualche tempo senza lavoro. La popolazione più povera non emigra, ad eccezione dei rari casi dei ricongiungimenti con le loro famiglie.
I lavoratori qualificati sono una minoranza. Ad esempio, in Lussemburgo, dove il 19% della popolazione è portoghese, solo il 2% è costituito da lavoratori qualificati del settore finanziario e scientifico. Per lo più i portoghesi all’estero lavorano nell’edilizia, nelle utilities, nel settore alberghiero, nel commercio e nei servizi.
Nonostante i luoghi comuni, la maggior parte degli emigranti non è formata da disoccupati (la disoccupazione nel paese è al 17,5%), ma da persone insoddisfatte della propria vita. Vogliono avere la propria carriera, stipendi più competitivi, e status e riconoscimenti che non possono ottenere a casa. In alcuni settori, come quello medico, la situazione è catastrofica. Sia i medici che il personale ospedaliero stanno lasciando il paese. Questo è il settore in cui lo Stato spende una grande quantità di denaro nella formazione. Ad esempio, per formare un infermiere vengono spesi all’incirca 16.500 euro.
La maggior parte degli emigrati sono giovani in età riproduttiva, e questo provoca un calo della naturale crescita della popolazione. Secondo il programma nazionale di diagnosi precoce, nel 2011 il Portogallo, per la prima volta nella sua storia, ha toccato il livello più basso di natalità – 100.000 bambini.
La situazione ha continuato a peggiorare, e nel 2013 ci sono stati solo 90.026 neonati. Quest’anno, le proiezioni dicono che questa cifra sarà più bassa di 8.000 unità. “L’emigrazione dei giovani è un segno dell’attuale sfavorevole metodo di governo dell’economia portoghese, e il principale fattore che limita il potenziale di crescita”, ha avvertito la Banca del Portogallo.
Albert Martins, il leader del Partito Socialista all’opposizione (la coalizione di governo è guidata dai Socialdemocratici), ha detto che il governo ha perseguito una politica che ha portato a disoccupazione, povertà, immigrazione, insicurezza e depressione.
Tuttavia, per poter vedere più chiaramente l’abisso in cui è sprofondato il Portogallo, guardiamo ai dati presentati non dal presunto leader dell’opposizione (i Socialdemocratici al potere sono rimpiazzati dai Socialisti, creando un’apparenza di opposizione), ma dai Comunisti, che sono rappresentati in Parlamento e godono di un certo consenso presso il popolo portoghese.
Il 22 febbraio l’Assemblea Nazionale del CPR ha fornito i seguenti dati. Fin dall’inizio degli aiuti da parte della UE, nessuno degli obiettivi fissati dai tre creditori (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) è stato raggiunto. Il PIL è calato del 5,8%, il doppio del previsto. In termini assoluti, il PIL è diminuito di 9,4 miliardi di euro.
Ci si aspettava che la caduta degli investimenti sarebbe stata del 15%, ma nel corso dei tre anni di aiuti questo dato ha già raggiunto il 37%. Il numero di posti di lavoro è diminuito cinque volte più di quello che era stato annunciato, il che significa che sono stati distrutti 464.000 posti di lavoro. Il debito del paese nel 2010 era del 93% del PIL, ed era stato assicurato che non sarebbe salito sopra il 115%, ma oggi è al 130% del PIL ed è cresciuto di oltre 51.5 miliardi di euro.
Il deficit di bilancio non si è mantenuto al 3% come promesso, e quest’anno sarà superiore al 5%, nonostante il forte calo della spesa per i servizi sociali e nel settore pubblico. E’ una vittoria del cartello delle mega-banche che controllano l’economia reale, e i perdenti sono il paese e le generazioni future, ha detto nel suo discorso il Segretario Generale del PPC Jeronimo de Sousa.
Qual’è il prossimo passo? Il prossimo passo è la crescita presumibile del servizio del debito, perché le banche prendono in prestito dalla BCE allo 0.25% annuo, e investono in titoli portoghesi al 5.1% (il rendimento medio dei titoli di Stato), ottenendo un enorme profitto. Questo è il motivo per cui il Portogallo deve pagare oltre 7 miliardi di euro all’anno di soli interessi.
Il governo non si assume la responsabilità per la dilagante devastazione dell’economia reale del paese e per le migliaia di imprese fallite, per la brutale e massiccia disoccupazione che contribuisce all’emigrazione quotidiana di migliaia di portoghesi, per l’indebolimento del paese e del suo futuro, per l’aumento dello sfruttamento del lavoro e per la concentrazione della ricchezza che porta ad un processo accelerato di impoverimento di milioni di portoghesi, per la diffusione della povertà e dell’esclusione sociale, per la violazione dei fondamentali diritti costituzionali al lavoro, alla salute, alla sicurezza sociale e all’istruzione, ha concluso Jeronimo de Sousa.