Turchia: il partito di Erdogan si e’ imposto nelle amministrative, 45% dei voti

erdogan31 mar. – L’Akp, il filo-islamico Partito per la Giustizia e lo Sviluppo del premier turco, Recep Tayyip Erdogan, si e’ imposto nelle elezioni amministrative con il 45 per cento dei voti contro il 28,5% dell’opposizione socialdemocratica del Chp, il Partito Popolare Repubblicano. E’ questo il dato che emerge con il 95 per cento delle schede scrutinate.
Anche se la conquista di Ankara e’ ancora in bilico, Erdogan ha subito rivendicato il successo avvertando i rivali che “pagheranno caro” quello che ha definito il tentativo di rovesciarlo con la campagna diffamatoria degli ultimi mesi.

“Chi ha attaccato la Turchia e’ rimasto deluso”, ha proclamato il controverso capo del governo dal balcone del quartier generale dell’Akp, sotto al quale si erano radunati migliaia di sostenitori. “Avete appoggiato il vostro primo ministro, avete protetto la lotta per l’indipendenza della nuova Turchia, e ve ne ringrazio infinitamente”, ha aggiunto.

Poi il tono si e’ fatto cupo: “Da domani puo’ essere che qualcuno scappera’”, ha ammonito. “Noi pero’ entreremo nei loro covi, e loro pagheranno il prezzo. Faremo i conti”, ha incalzato il premier turco. “Come si puo’ minacciare la nostra sicurezza nazionale?”, ha chiesto polemicamente, alludendo alla fuga di immagini e audio relativi a una riunione militare ad altissimo livello dedicata al conflitto siriano, le cui conversazioni sarebbero state manipolate e che ha condotto alla decisione di bloccare, dopo Twitter, anche YouTube.
“Sulla Siria, poi!”, ha rincarato la dose Erdogan. “La Siria attualmente e’ in guerra con noi. Non ci sara’ uno Stato nello Stato”, ha concluso. “E’ stata punita la politica priva di etica, fatta di intercettazioni e montature”. Il premier ha cosi’ liquidato con una sola frase le registrazioni telefoniche che incastrerebbero lui e il figlio, le accuse di corruzione alla sua cerchia, le epurazioni di magistrati e poliziotti a lui ostili, e il braccio di ferro con l’ex alleato Fethullah Gulen, un teologo, scrittore e filosofo che da anni vive in esilio volontario negli Stati Uniti, fondatore del movimento ‘Fethullaci’, o ‘Hizmet’: quello che per Erdogan sarebbe appunto uno “Stato nello Stato”. (AGI) .