L’analisi di Bortolussi nel suo libro “L’economia dei suicidi”. «In Italia condizioni al limite del possibile»
30 mar – Pagamenti che non arrivano, banche che abbandonano, fisco, burocrazia e giustizia che si inceppano, costi dell’energia alle stelle. E una vita che finisce da un giorno all’altro, sgretolandosi sotto il peso di una fatica che non porta più a nulla, se non a una solitudine così profonda da sfociare nella morte.
Dall’inizio della crisi, cinquantasei imprenditori vene-ti si sono tolti la vita. Molti di loro lo hanno fatto impiccandosi nei capannoni delle loro aziende, costruite coltivando speranze svanite nel nulla e cercando di mantenere traccia” di quell’orgoglio e quell”‘onore” di cui un tempo andavano fieri.
Nelle loro case sono rimaste le mogli, i figli e i conti da saldare fra le lacrime per la scomparsa di chi, ritenendosi colpevole della crisi, ha deciso di togliersi di mezzo. Le cause di questa tragedia diffusa, che continua a contare vittime, sono da individuare nell’amministrazione di un Paese che lascia solo chi ha contribuito alla sua prosperità.
Lo spiega e lo racconta il consigliere regionale Giuseppe Bortolussi, direttore della Cgia di Mestre, nel suo nuovo libro “L’economia dei suicidi” (Edizioni Marciua-num Press), in cui l’autore definisce gli imprenditori Veneti «piccoli eroi del quotidiano» e, allo stesso tempo, «i perdenti dell’economia».
Nel suo libro-denuncia, supportato da dati e analisi sulla situazione economica del Veneto e sui fattori che ne hanno caratterizzato il successo negli anni passati, Bortolussi costruisce un «monumento virtuale ai caduti d’impresa», come spiega nella prefazione. E nel commentare l’ambiente difficile e ostile in cui il mondo dell’impresa deve farsi strada, arriva alla lucida conclusione che sostenere e valorizzare gli sforzi costanti degli imprenditori è necessario per il bene di tutto il Paese.
«Non è vero che i suicidi degli imprenditori sono solo eventi personali, riflettiamo e capiamo se non siamo un po’ tutti responsabili, perché sono eventi che derivano anche dal fatto che in Italia le condizioni per fare impresa sono ormai al limite del possibile», scrive l’autore. E poi si domanda: «In quale paese, l’energia si paga il 40% in più del resto d’Europa? Dove si pagano i trasporti il 10%, anche il 15% in più? Dove i servizi pubblici sono inefficienti come in Italia?».
La lista continua, dalle lungaggini della giustizia al nostro elevato deficit infrastnitturale, dai tempi biblici con cui gli imprenditori incassano i pagamenti al difficile, quando non impossibile, accesso al credito. «Chi riesce a fare impresa nonostante tutto questo è un piccolo eroe» sostiene il direttore della Cgia. «Pensiamoci, quando chiediamo a questi piccoli imprenditori che combattono tutti i giorni tra mille difficoltà, di fare ancora di più, di mettersi assieme, di crescere, di diventare più competitivi, di tirare un carro ancora più pesante, se è a loro che dobbiamo chiedere ancora o se è il Paese a dover diventare terreno più favorevole per l’impresa». E conclude: «Noi sosteniamo che i piccoli imprenditori il loro dovere lo fanno già tutto. Lo faccia anche il Paese».
(da “Il mattino di Padova” 02.04.2013)