14 mar – (euronews) Sergio Rizzo, Corriere della Sera: “Roma veramente è la città che in sé riassume tutti i simboli del potere di questo Paese, nel passato e nel presente. Questa è una città nella quale da 2767 anni ininterrottamente si esercita il potere”.
Oggi il potere in Italia è nelle mani di Matteo Renzi e della sua squadra di ministri. E’ il terzo governo che vede la luce in poco più di due anni e mezzo. Come i due che lo hanno preceduto, è nato da un’intesa di palazzo, allo scopo di fare alcune riforme giudicate indispensabili per rimettere l’Italia sui binari della crescita.
Di queste riforme si parla da tempo, ma si è fatto poco. Come se la macchina legislativa fosse inceppata. O la politica avesse perso la capacità di decidere.
Rizzo: “Negli ultimi anni di fatto la burocrazia si è impadronita del processo legislativo. Sono loro che fanno le leggi. Le scrivono dentro i ministeri, dopodiché le leggi vanno in Parlamento ed escono dal Parlamento approvate con l’obbligo, per essere attuate, di fare delle ulteriori norme, che devono fare sempre gli stessi che hanno scritto la legge. Quindi di fatto il Parlamento si limita a ratificare quello che scrivono i superburocrati nei ministeri e qui vengono fuori i conflitti di interessi più incredibili”.
Negli ultimi cinque anni, sono state fatte circa 480 nuove leggi in materia fiscale in Italia. Di queste leggi, una sessantina hanno semplificato il sistema; le altre lo hanno reso ancora più complicato.
Ma, affinché le leggi entrino in vigore, come spiegava Sergio Rizzo, spesso è necessario un passaggio aggiuntivo: un regolamento la cui stesura è affidata agli alti burocrati. Antonio Catricalà è stato per anni e fino a pochi mesi fa un esponente di questa elite selezionatissima.
Antonio Catricalà, ex vice ministro per lo Sviluppo economico: “Molto spesso il regolamento serve davvero perché le norme da creare sono estremamente complesse e tecniche. Altre volte invece il regolamento nasce dall’esigenza di chiudere l’accordo politico. Allora, c‘è un punto controverso? In Parlamento ci si mette d’accordo che quel punto sarà poi risolto con un regolamento. Ma questo poi non succede”.
Un Parlamento che non decide rende i funzionari della pubblica amministrazione ancora più potenti, conferendo loro un ruolo politico. Una vera forzatura, tenuto conto che non sono eletti e che non decadono automaticamente con la fine di un governo.
Luigi Tivelli, ex consigliere parlamentare alla Camera: “Arriva un ministro, fa un contratto di cinque anni a un direttore generale. Poi il ministro che gli succede un anno e mezzo dopo, perché cade il governo e arriva un governo di un altro colore un anno e mezzo dopo, eredita il direttore generale che era del colore dell’altro ministro. E allora questo direttore generale, o cambia casacca – è diffuso il fenomeno dei cambi di casacca nella nostra burocrazia – oppure fa di fatto opposizione al nuovo ministro”.
La costituzione prevede che gli alti dirigenti della pubblica amministrazione siano selezionati per concorso pubblico tra i membri del Consiglio di Stato, i giudici del Tribunale amministrativo e pochi altri organi ristretti. Oggi funzionari di governo e domani magistrati, o viceversa.
Stefano Rodotà, giurista: “Spesso, il Consigliere di Stato si trova poi a essere giudice nell’applicazione della legge. Perché ci sono leggi che ha scritto lui, materialmente, che ha collaborato a scrivere con il ministro. Dopo, se torna a fare il giudice, sarà lui a stabilire, a prendere la decisione sulla base di una legge che ha scritto lui. Quindi c‘è anche una sorta di conflitto: dovrebbe esserci sempre una separazione tra chi ha legiferato e chi poi fa il giudice”.
Dal 1889, la sede del Consiglio di Stato è a Palazzo Spada, uno degli edifici più maestosi della Roma barocca. Nel cortile, la falsa prospettiva di Francesco Borromini crea l’illusione che la statua in fondo sia a grandezza naturale, mentre invece misura solo 60 centimetri.
Il governo Renzi sta tentando di fare qualcosa di simile con la burocrazia, ridimensionando il potere che ha acquisito negli anni.
Rodotà: “Il ministro nuovo può cambiare il vertice dell’amministrazione, i direttori generali, ha tre mesi per farlo. Quindi dire che io sono paralizzato dal fatto che ricevo un’eredità dal passato, oggi, non è del tutto vero. Secondo: la scelta del mio capo di gabinetto, del mio capo dell’ufficio legislativo, è assolutamente libera”.
Una burocrazia debordante e l’eccesso di regolamentazione frenano le spinte riformiste. Ma in Italia il problema è più grave: spesso mancano le regole che servirebbero di più, come quelle che tracciano una netta linea di confine tra attività politica e interessi privati.
Pier Luigi Petrillo, docente di Teoria e Tecniche del Lobbying, Unitelma Sapienza di Roma: “Se un parlamentare non viene rieletto, può diventare lobbista. Può cioè fare attività di lobbying nei confronti dei suoi ex colleghi. E’ una cosa che in Italia succede spesso. Anche perché l’ex parlamentare ha libero accesso in Parlamento. E’ lecito, non è vietato, ma è certamente un’anomalia del nostro sistema”.
A differenza di quanto accade nella maggior parte dei paesi europei e non solo in quelli, in Italia non esiste un registro dei lobbisti. Una lacuna che rende il sistema ancora più opaco e incoraggia fenomeni di corruzione.
Franco Spicciariello, lobbista, Open Gate Italia: “L’assenza di regole riguardo l’attività di lobbying in Italia deriva principalmente da una scelta politica. Considera che oltre cinquanta proposte di legge sono state presentate a Camera e Senato negli ultimi quarant’anni, e mai nemmeno una è arrivata alla discussione in aula. Quindi la scelta della politica è stata sempre molto chiara. Ci sono stati anche un paio di tentativi di governi, prima sotto Prodi e poi nell’ultimo governo Letta: in entrambi i casi, non si è mai andati avanti”.
Pier Luigi Petrillo faceva parte del gruppo di esperti che l’anno scorso furono incaricati dal premier Letta di elaborare nuove regole di trasparenza e ci spiega perché il Consiglio dei Ministri ha respinto le loro proposte: “Imporre a un ministro o a un parlamentare di tenere un’agenda in cui indica in modo dettagliato tutti gli incontri avuti con i portatori di interessi a 360 gradi, quindi non soltanto con le lobby del settore economico e del settore bancario, ma con tutti i portatori di interessi, dalle associazioni di categoria alle associazioni civili alle associazioni religiose fino ad arrivare alle grandi multinazionali… ecco: questi obblighi venivano considerati eccessivi”.
Nel suo ultimo rapporto, la Commissione europea afferma che la corruzione in Italia è un fenomeno diffuso tanto nel settore pubblico quanto in quello privato. Un sistema che favorisce i poteri forti e intrappola il Paese in un abbraccio asfissiante tra affari, politica e burocrazia.
I rimedi sono noti. Si tratta di metterli in pratica.