6 dic 2011 – La “multinazionale delle mazzette” non abita a Roma in un palazzetto di vetro e cemento che guarda il Tevere, ma a Monaco di Baviera. Opera in venti paesi che coprono l’intero alfabeto, dalla A di Argentina alla V di Vietnam passando per la I di Italia. Non l’ha messa a nudo un magistrato d’assalto, bensì una società di revisione dei conti, l’olandese Kpmg, una delle quattro grandi (insieme a Deloitte & Touche, Ernst & Young e PwC). No, non è Finmeccanica; è la Siemens, gioiello del Modell Deutschland.
Corruzione, Siemens patteggia un miliardo di euro negli Usa e in Germania (ndr)
La trama è emersa nel 2006 in un rapporto commissionato dalla Securities and Exchange Commission, cioè l’agenzia americana che controlla Wall Street. Centrali elettriche, gestione delle carte d’identità, sistemi di controllo del traffico, macchinari per la sanità, reti di telecomunicazioni. Un totale di 4.283 pagamenti illegali, per 14 categorie di transazioni e 332 progetti o vendite individuali. Almeno 1,4 miliardi di dollari passati nelle tasche di funzionari governativi dei vari paesi, compresi almeno due ex capi di stato.
Nel 2003 emergono i primi casi da un’indagine interna sulla corruzione in Nigeria per la fornitura di sistemi di comunicazione al paese africano (si scopre poi che al presidente e al suo vice hanno regalato orologi per 170 mila euro). Intanto, a Milano scoppia lo scandalo Enelpower. La procura trova versamenti su conti monegaschi a due ex manager del gruppo elettrico italiano per comprare turbine tedesche da montare nelle centrali progettate all’estero. Briciole, rispetto alle consulenze pagate a una società americana che fa capo alla moglie del vicepresidente Siemens (familismo in salsa di crauti) per lavori mai svolti: almeno 2,8 milioni di euro. Per i manager sott’accusa, prepensionamenti d’oro; uno di loro riceve anche 1,8 milioni di euro di benefit quando lascia la società. Nel novembre 2006, la polizia tedesca irrompe nella sede di Monaco di Baviera, ma ci vuole ancora un anno per far cadere le teste. Nel frattempo, secondo la Sec, le mazzette continuano, almeno 27,5 milioni fino al settembre 2007. Il big boss, Klaus Kleinfeld, dimessosi già nell’aprile di quell’anno, adesso è al vertice di Alcoa, il gigante dell’alluminio.
Dunque, così fan tutte? E così fanno dappertutto? Non c’è etica protestante che metta al sicuro lo spirito del capitalismo. Attenti a farsi paladini della purezza perché il demone colpisce anche i migliori. Come accadde a Helmut Kohl. Il padre dell’unità tedesca, lo statista che rinunciò al marco per creare l’euro, coinvolto in un sistema di finanziamenti occulti, finì mestamente una non comune carriera. Ad accanirsi contro di lui, fu proprio la sua pupilla Angela Dorothea Kasner divorziata Merkel, figlia di un pastore luterano, nata ad Amburgo, ma cresciuta al di là del Muro. Chi raccolse le mazzette era l’uomo forte della Cdu e la mente più brillante, Wolfgang Schäuble, che le pistolettate di un pazzo ha costretto sulla sedia a rotelle dal 1990. Lo racconta in un libro autobiografico intitolato “Mitten in Leben”, nel mezzo della vita, espressione di una vera e propria crisi di mezz’età personale oltre che politica dopo la rovinosa sconfitta di Kohl nel 1998 contro Gerhard Schröder. La vicenda risale al 1994, quando all’hotel Königshof di Bonn, viene avvicinato da Karl-Heinz Schreiber che gli chiede un appuntamento. Il giorno dopo l’uomo si presenta come un imprenditore simpatizzante e gli allunga una bustarella con centomila marchi, “per uso personale”. Schäuble, tesoriere del partito, prima si schermisce poi la prende e la passa direttamente a Frau Baumeister, la classica ignara segretaria. L’inchiesta successiva accerterà che donazioni del genere sono andate avanti per anni. Kohl sapeva? Era stato informato. Non poteva non sapere. Anche in Germania.
Le indagini del Parlamento tedesco sui fondi illegali della Cdu, rivelarono la cresta sulle vendite di carri armati alla corona saudita, e una maxi-tangente: 40 milioni di euro per l’acquisto di una compagnia petrolifera in Germania est da parte di Elf Aquitaine, il gruppo petrolifero dello stato francese: 15 milioni sarebbero stati versati direttamente al partito democristiano come aiuto per la campagna elettorale di Kohl nel 1994. Oltre 300 milioni di marchi furono scoperti in depositi nel cantone di Ginevra. Nel 2003 è emerso che a Helmut Kohl furono pagati 300 mila euro dal magnate televisivo Leo Kirch il quale aveva costruito il proprio impero proprio grazie all’aiuto di Kohl negli anni 80. Insomma, ogni paese ha il suo Lorenzo Borgogni, l’uomo che gira con le valigette. L’orchestra cambia, la musica è sempre la stessa. Ma a noi non interessa compilare una rassegna di ordinaria corruzione. Le mani debbono essere pulite. In Giappone i politici vanno dagli elettori indossando guanti bianchi. Poi se li tolgono e prendono i pizzini della Yakuza. Non tutti, naturalmente. Il problema è capire quando e perché il meccanismo diventa sistemico.
Il serpente tentatore s’annida nel connubio tra economia e politica.
Come dimostra il caso Siemens, appunto. […]
svizzero, anticipando già tutte le Siemens, le Elf, le Finmeccanica del mondo.
© – FOGLIO QUOTIDIANO . di Stefano Cingolani – 5 dicembre 2011