“Questo studio ci lascia anche una riflessione che va aldila’ della dimensione strettamente scientifica e investe l’attualita’ – ha detto lo scienziato Destro Bisol – sapere che l’Italia, indipendentemente dai flussi migratori recenti, e’ stata ed e’ tuttora terra di notevole diversita’ sia culturale che genetica” (E la scienza si piega al sistema)
9 gen. – Un team di ricercatori della Sapienza, coordinato dall’antropologo Giovanni Destro Bisol, in collaborazione con gruppi di ricerca delle Universita’ di Bologna, Cagliari e Pisa, ha messo in luce che le popolazioni italiane sono estremamente eterogenee da un punto di vista genetico, tanto da poter paragonare la loro diversita’ a quella che si osserva tra gruppi che vivono agli angoli opposti dell’Europa.
Questo nuovo dato, frutto di uno studio iniziato 2007 che ha preso in considerazione 57 popolazioni del nostro territorio, rivela un’inedita analogia tra la biodiversita’ umana e quella animale e vegetale, la cui notevole varieta’ inter-specifica contribuisce in maniera fondamentale all’inclusione del bacino del Mediterraneo tra i 34 hot spot della biodiversita’ a livello mondiale. Alla base di questa somiglianza c’e’ un motivo comune e cioe’ l’estrema estensione latitudinale dell’Italia. La varieta’ degli habitat che si trovano lungo la dorsale della nostra penisola favorisce la varieta’ di piante e animali ospitati nel nostro territorio.
D’altro canto per le sue caratteristiche geografiche l’Italia sin da tempi antichissimi ha rappresentato un corridoio naturale per i flussi migratori provenienti sia dall’Europa centrale sia dal Mediterraneo: nel caso dell’uomo hanno contribuito alle diversita’ tra popolazioni anche le differenze culturali (in primis linguistiche), creando un ulteriore fattore di isolamento rispetto a quello geografico. In entrambi i casi, il risultato finale e’ la creazione di un “pattern” davvero unico in Europa.
L’accento sull’importanza degli aspetti culturali non e’ casuale, ma deriva da quello che i ricercatori considerano un aspetto particolarmente originale del loro studio: avere incluso nell’indagine, oltre a popolazioni ampie e rappresentative di citta’ o di grandi aree (ad esempio L’Aquila oppure Lazio), anche gruppi di antico insediamento come le “minoranze linguistiche” (Ladini, Cimbri, e Grecanici), portatrici di aspetti culturali e sociali peculiari nel panorama italiano. Sono proprio alcuni di questi gruppi, come nel caso delle comunita’ “paleogermanofone” e ladine delle Alpi oltre a gruppi della Sardegna, che contribuiscono in maniera determinante alla notevole diversita’ osservata in Italia. Un dato tra tutti: se si considerano ad esempio i caratteri trasmessi dalla madre ai figli di entrambi i sessi (e cioe’ il DNA mitocondriale), comparando la comunita’ germanofona di Sappada, nel Veneto settentrionale, con il suo gruppo vicinale del Cadore, o quella di Benetutti in Sardegna con la Sardegna settentrionale, l’insieme delle differenze genetiche calcolate e’ di 7-30 volte maggiore di quanto si osserva perfino tra coppie di popolazioni europee geograficamente 20 volte piu’ distanti (come Portoghesi e Ungheresi oppure Spagnoli e Romeni). “I nostri dati – ha spiegato Giovanni Destro Bisol testimoniamo come fenomeni migratori e processi di isolamento che hanno coinvolto le minoranze linguistiche, per la maggior parte insediatesi nel nostro territorio prevalentemente tra il medioevo e il diciannovesimo secolo, abbiano lasciato testimonianza non solamente nei loro aspetti culturali (alloglossia, aspetti della tradizioni e del folklore,) ma anche nella loro struttura genetica”.
“Questo studio ci lascia anche una riflessione che va aldila’ della dimensione strettamente scientifica e investe l’attualita’ – ha detto Destro Bisol – sapere che l’Italia, indipendentemente dai flussi migratori recenti, e’ stata ed e’ tuttora terra di notevole diversita’ sia culturale che genetica, puo’ aiutarci ad affrontare in maniera piu’ serena un futuro pieno di occasioni di incontro con i portatori di nuove e diverse identita’”. (AGI)
L’Italia è stata occupata da popoli della stessa razza, anche gli arabi che poi furono anche cacciati, non erano uguali a quelli di oggi. Se lo ricordassero.
Aggiungo. Non è un mistero che c siano più differenze genetiche fra un valdostano e un calabrese oppure fra un veneto e un sicliano che fra un tedesco e un polacco oppure un norvegese e uno svedese…
Non c’era assolutamente bisogno di questo studio per conoscerne le conclusioni. Si sa dalle elementari che la nostra penisola è sempre stato un crocevia di popoli. Alle prime popolazioni locali (Siculi, Sicani, Sanniti, Latini, Veneti, gli stessi Etruschi anche se non ne è nota l’origine eccetera) si sono sovrapposti i Greci, i Galli, gli Eruli, i Vandali, i Goti, i Longobardi, Bizantini, Arabi, ai Normanni, Angioini, Aragonesi, Spagnoli eccetera, eccetera.
Quello che lo studio non rileva, è altro. Vale a dire che se qualche popolazione ha portato benefici (vedi i Greci e anche gli stessi Arabi, almeno quelli del Medioevo, o i Normanni) ed altri hanno portato enormi e incalcolabili disastri (come i barbari Eruli, Goti e Longobardi ma anche gli Spagnoli). Non mi pare che le ultime invasioni che l’Italia stia subendo apportino benefici. Tanto che, in cambio di infornate di semianalfabeti o analfabeti totali i nostri migliori cervelli emigrano all’estero. Morale della favola non vedo, nello studio, asettico, alcuna che potrebbe confortare le tesi della Kyenge. Semmai, se si guarda le conclusione, un motivo di fortissimo allarme e preoccupazioni per il futuro dell’Italia.