L’Europa è sempre più a corto di mezzi per far fronte alla crisi finanziaria di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna (PIIGS), che rischia di travolgere anche le banche di Austria e Francia.
Rimane da tentare l’opzione della cosiddetta monetizzazione, che in sostanza significa che la Banca Centrale Europea stampa
moneta per acquistare i titoli degli stati in difficoltà.
I sostenitori della monetizzazione dicono che risolverebbe il problema del debito pubblico. In realtà non è proprio così, e i paesi del nord Europa sono a dir poco perplessi, perché la monetizzazione non risolve il nocciolo del problema: la mancanza di competitività economica. I paesi dell’Europa del Sud non reggono la competizione con quelli del nord. Mediamente al sud ogni lavoratore è da ¼ a
1/3 meno produttivo della media dei lavoratori del nord Europa (anche per motivi strutturali, vedi qui). Dar loro più denaro li farà diventare ancor meno competitivi. È chiaro che è stata
proprio l’ampia disponibilità di denaro a bassi tassi di interesse a causare
l’attuale grave crisi del debito sovrano nel sud dell’Europa. Continuare a
riversar denaro in questi paesi produrrebbe soltanto inflazione. La
monetizzazione incoraggia i consumi – per questo che gli USA, il Regno Unito e
il Giappone hanno usato questo strumento negli ultimi tempi. Ma nel caso dei
PIIGS più denaro in circolazione sosterrebbe soltanto in parte la produzione
dell’eurozona, perché si tratta di paesi che sono sostanzialmente importatori:
più denaro aumenterebbe il volume delle importazioni.
Il Sud Europa ha bisogno di raggiungere l’equilibrio
tra consumi e produzione. La monetizzazione fa il contrario – aumenta lo squilibrio
e produce inflazione. L’inflazione
erode il valore del debito, ma erode anche il valore dei beni attivi. Considerando che il Sud Europa ha più debiti che patrimonio, è ovvio che
veda la monetizzazione con favore. Ma nel nord Europa è esattamente il contrario.
Le economie dei paesi del nord Europa hanno dei crediti, hanno un valore
aggiunto molto alto, basi industriali possenti, forza lavoro altamente
qualificata e eccellenti sistemi educativi. Il nord Europa – particolarmente la
Germania – ha pochi debiti, tanti crediti e molto patrimonio, e questa è la
base del suo potere politico nell’Unione Europea. La monetizzazione lo
danneggerebbe direttamente.
Monetizzare il debito del sud Europa eliminerebbe la
pressione sugli stati che hanno necessità di riforme. Un esempio: la Banca Centrale Europea ha incominciato a comperare titoli
di stato italiani ad agosto, e l’’Italia in agosto ha rimandato il pacchetto di
austerità. Se non si pone un freno certo alla spesa pubblica
prima che la monetizzazione cominci, non si arriva alla politica di pareggio
fiscale, e viceversa: se sia arriva alla politica di pareggio, la
monetizzazione non è più necessaria.
Infine c’è l’aspetto demografico. In Germania
c’è un’alta percentuale di quarantenni, che sono la fascia d’età più produttiva
e capace: la base dell’attuale possente economia tedesca. Ma la fascia dei
quarantenni andrà calando percentualmente, perché nelle generazioni successive
c’è un forte calo numerico. Quando gli attuali quarantenni andranno in pensione
la forza lavoro tedesca sarà molto meno competitiva e le spese sociali
aumenteranno molto. Perciò la Germania vuole costringere il resto d’Europa a
riscrivere le regole dell’Unione Europea ora, prima che il suo vantaggio
demografico si dissolva.
Malgrado gli svantaggi, la
monetizzazione potrebbe però essere l’unico strumento che può salvare l’unione
monetaria e l’Euro stesso, pur perpetuandone le storture. Se gli altri
strumenti fallissero, i paesi del
nord Europa (soprattutto la Germania) dovranno compiere una scelta difficile e dolorosa: monetizzare
e portarne le conseguenze sotto forma di inflazione, o lasciare fallire l’Euro
e portarne e conseguenze economiche e politiche di lunga durata.