28 nov – Con l’arrivo al potere di Mario Monti, avvenuto tra struggenti e corali inni di lode nel Novembre del 2011, la massoneria reazionaria che domina la Ue ha inteso accelerare un doloso processo meta-politico, già in corso da anni in maniera felpata e strisciante, destinato in prospettiva a destrutturare completamente il tessuto produttivo italiano. Il pacifico avanzamento di questo progetto tanto meschino sul piano storico è garantito, nell’immediato, dalla presenza sulla scena di un premier come Enrico Letta e, in prospettiva, dalla scontata e trionfale ascesa del sindaco “rottamatore” Matteo Renzi, giamburrasca fiorentino ideologicamente subalterno rispetto ai nefasti dogmi neoliberisti che hanno già abbondantemente distrutto l’Europa intera.
Dopo una rapida disamina della situazione, quindi, è facile ricavarne una prima granitica certezza: il Pd rappresenta la naturale cinghia di collegamento tra l’Italia e la famigerata burocrazia affamatrice di Bruxelles, capace di far rivivere alcuni elementi tipici dell’eugenetica nazista oggi mellifluamente riproposti in chiave moderna e tecnocratica (clicca per leggere).
Berlusconi, mercante nell’animo, ha permesso la formazione tanto del governo Monti quanto di quello attualmente presieduto dall’onorevole Letta. Perché lo ha fatto? Perché sperava così facendo di conquistarsi la benevolenza di quel primo cerchio della massoneria reazionaria che ha già inoculato nel Vecchio Continente il veleno dell’oligarchia e del classismo più abietto (clicca per leggere).
L’idea, pianificata in sede sovranazionale, di costringere gli italiani più deboli a morire suicidi una volta condotti volutamente sull’orlo della follia a causa della fame e degli stenti, è stata perciò abbracciata fino ad oggi dal Pd per convinzione e dal Pdl per (supposta) convenienza. La pubblica opinione comincia però a percepire la reale natura di alcuni partiti di governo, che, al riparo delle provvidenziali “larghe intese”, continuano impunemente a servire interessi speculativi privati usurpando ruoli di interesse pubblico.
Il dilagare di questa nuova consapevolezza, evidentemente, crea le necessarie precondizioni utili a far aumentare esponenzialmente i consensi delle forze cosiddette “antisistema”. Dato per scontato che, di fronte ad un Apparato nel suo complesso sanguinario e nazista, la presunta legittimità democratica di una forza politica può desumersi prima facie solo per contrasto, è ora arrivato il momento di chiedersi: basta opporsi confusamente all’esistente per rappresentare una concreta alternativa politica in grado di difendere democrazia, uguaglianza e libertà dagli assalti sempre più arroganti del politburo di Bruxelles? Non credo.
Analizziamo, ad esempio, il caso italiano. Sulla scia di un malcontento diffuso, dopo i terribili colpi subiti per mano del masnadiero Monti, parte consistente dell’elettorato italiano ha deciso di concedere fiducia a Beppe Grillo. Ma, a parte il comprensibile risentimento verso una classe dirigente perlopiù incapace, corrotta ed etero-diretta dall’esterno, quali precise istanze di cambiamento si scorgono dietro l’exploit dei neofiti pentastellati? A questo punto la faccenda si fa decisamente più seria e complicata. Per assecondare il diffuso desiderio di rivalsa contro i protagonisti della Seconda Repubblica artefici del declino italiano, bastano e avanzano le parole d’ordine sposate da un Matteo Renzi qualsiasi. Rottamazione, tagli agli sprechi e lotta alla Casta sublimano il solito armamentario concettuale, emozionale e a-politico, indispensabile per mettere in pratica il proposito brillantemente sintetizzato in tempi non sospetti da Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo”: “tutto deve cambiare affinché tutto resti uguale”.
Esiste pur tuttavia un numero importante di cittadini italiani desideroso di trovare uno sbocco politico coerente e articolato, che, partendo dalla giusta e feroce critica contro i protagonisti passati e presenti dell’ Olocausto consumato ai danni dei popoli dell’Europa mediterranea, non si limiti però alla sola invettiva. E’ in grado il Movimento 5 Stelle di farsi garante della “pars costruens” con la stessa efficacia con la quale oggi interpreta quella “destruens”? No, e vi spiego perché.
Qualche tempo fa Beppe Grillo ha avanzato sia la proposta di scindere il concetto di lavoro da quello di guadagno (clicca per leggere), sia quella di tassare a dismisura i consumi (clicca per leggere). Entrambe le suggestioni avanzate, con buona pace dei tanti Barnard che pensano (pensavano?) di poter innestare elementi di Modern Money Theory nel corpaccione grilleggiante, palesano il reale ancoraggio culturale abbracciato dai fan di Casaleggio. Un repertorio, fondamentalmente vecchio e aleatorio, che assorbe alcune ingenuità già presenti nel socialismo utopistico di Robert Owen (palesatesi nel tentativo di strutturare la comunità “New Armony” fondata negli Stati Uniti nel 1824) per ricalcare infine fedelmente le orme di pensatori alla André Gorz (autore de “Addio al proletariato. Oltre la sinistra”) che, verso la metà degli anni ’70 del secolo scorso, vaneggiavano la costruzione di una “futura sinistra” completamente protesa verso la “liberazione del tempo” e “l’abolizione del lavoro”.
Gorz, maitre a penser di Grillo, sosteneva la necessità “di un reddito base per tutti i cittadini indipendentemente dal lavoro”. Affermava inoltre: “Keynes è morto. Nel contesto della crisi e della rivoluzione tecnologica attuali è assolutamente impossibile ristabilire la piena occupazione con una crescita economica quantitativa. L’alternativa è piuttosto fra due modi di gestire l’abolizione del lavoro: uno che porta a una società della disoccupazione, l’altro che conduce a una società del tempo liberato” (“L’enigma democrazia”, Jan Werner Muller, pag 298-299).
Questo tipo di approccio filosofico, che respingo in toto, finisce sempre più o meno consapevolmente per fare il gioco di quanti, con la scusa delle “risorse finite”, promuovono politiche volte ad aumentare all’infinito le disuguaglianze. Dalla semplice osservazione dei dati realtà è possibile constatare come il mondo contemporaneo non soffra affatto a causa delle scarsità di beni figlia delle eccessive pretese di masse sempre più viziate da un eccesso di democrazia (“La Crisi della Democrazia”, rapporto della Commissione Trilaterale del 1975 redatto da P. Huntington, J. Watanuki e M. Crozier).
E’ vero l’esatto contrario. Moltissime imprese, italiane e non solo, falliscono per mancanza di domanda. Chiaramente uccise da un sistema di potere che è riuscito nell’impresa di “far trionfare la miseria in mezzo alla più assoluta abbondanza materiale”. Argomenti come la decrescita, la corruzione, la Cina e la globalizzazione, spesso evocati per spiegare “la crisi”, vanno vissuti come abili artifizi retorici oggettivamente protesi nella pervicacia salvaguardia degli interessi consolidati. Per tornare a vivere all’interno di una società in grado di armonizzare il vampirismo intrinseco nel sistema di produzione capitalistico con le sacrosante istanze di equità, libertà, uguaglianza e giustizia sociale non bisogna inventarsi nulla. Ha già fatto tutto Keynes.
Francesco Maria Toscano – il moralista