di Claudio Romiti
In questi tempi di crisi circola una teoria, a mio avviso, piuttosto strampalata circa una presunta mancanza della Banca centrale europea. Secondo gli assertori di questa idea, Giuliano Ferrara in testa, la Bce non svolgerebbe efficacemente il ruolo che prima era della Banca d’Italia la quale, di fronte ad un attacco speculativo portato ai nostri titoli pubblici, metteva in campo una decisa azione di difesa.
Ora, onde non indurre il popolo a prendere fischi per fiaschi, occorre spiegare in cosa consisterebbe tale presunta difesa dei titoli pubblici, poichè detta così la cosa suona troppo fasulla per chi mastica un pochino di economia.
Ebbene, questa tanto invocata panacea delle banche centrali non è altro che una rapida immissione di una massa imprecisata di moneta nel circuito finanziario. In altri termini, così come faceva la Banca d’Italia durante le ricorrenti crisi della lira, si chiede alla Bce di stampare nuove banconote onde far fronte al crollo delle quotazioni dei nostri Btp sul mercato secondario, ovvero laddove questi ultimi vengono liberamente contrattati tra la miriade di operatori finanziari.
Ebbene, un simile “cura” avrebbe l’effetto certo di far aumentare quella che da tutti gli economisti liberali viene considerata come la tassa più iniqua: l’inflazione. Accadrebbe così che per tentare di bloccare le ondate di vendita degli stessi Btp il sistema economico europeo verrebbe inondato da un eccesso di liquidità, facendo perdere di valore il potere d’acquisto della moneta unica e, soprattutto, intaccherebbe profondamente -in relazione inversa rispetto alla quantità di banconote stampate- tutti i risparmi espressi in euro.
Oltre al fatto che questa folle operazione “tipografica” determinerebbe un ulteriore apprezzamento del dollaro, determinando un aumento molto deciso delle materie prime, di cui è nota la nostra carenza. Ciò in soldoni costringerebbe molti cittadini a tirar fuori dalle cantine le loro biciclette, dato il prevedibile rincaro dei già altissimi prezzi dei carburanti. Da questo punto di vista chi invoca il ritorno al precedente conio, abbandonando l’euro, parla senza comprendere le conseguenze catastrofiche di un simile passo.
In pratica, il ripristino della liretta comporterebbe una svalutazione tale da mettere a repentaglio qualunque tentativo di rendere stabili gli scambi commerciali. Ed a meno che non vogliamo tornare ai fasti della mussoliniana autorchia, in cui si realizzavano maglioni col latte e autovetture alimentate a carbonella, proprio non possiamo permetterci di abbandonare un ombrello così importante come quello dell’euro, sebbene ciò ci costringerà ad essere sempre più virtuosi nei conti pubblici. Ma questo, francamente, non mi sembra un male.
Claudio Romiti