15 ott – Ci auguriamo “che gli Stati membri siano coerenti con le dichiarazioni di solidarietà” espresse al consiglio Affari interni dopo la tragedia di Lampedusa e ne diano dimostrazione al vertice. E’ il ‘mantra’ che si recita in questi giorni dentro e fuori dalla sala stampa della Commissione Ue, in vista del summit del 24 e 25 ottobre.
E’ infatti nella sede del vertice, che si auspica trovi impulso una politica dell’immigrazione finalmente targata Europa, al di là di “polemiche”, egoismi, e “frammentazioni”.
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Una strategia comune per affrontare la sfida in tre fasi, come il commissario Cecilia Malmstrom non si stanca di ripetere, con obiettivi a “breve, medio e lungo termine”. Iniziative articolate, da mettere in atto “tutti assieme”. Un disegno che si auspica rientri “per intero” nell’agenda del summit, almeno sotto forma di “piste di riflessione”.
Nel breve periodo l’indicazione resta quella di un “Frontex irrobustito”, impegnato in una grande operazione a copertura del Mediterraneo, verso il quale i 28 si impegnino attribuendo mezzi e risorse. Ma l’Agenzia di presidio dei confini, che da dicembre coordinerà anche la piattaforma per lo scambio di informazioni Eurosur, ha già esaurito il budget 2013. Dopo aver riallocato gli ultimi due milioni per estendere a fine novembre le attività di Hermes, ora si scervella su come trovare soldi o navi e aerei per rafforzarle. E nonostante il nuovo tragico naufragio di venerdì e l’appello di Malmstrom sull'”urgenza” di un contributo “concreto” dagli Stati membri, l’Italia si trova di nuovo sola a dare un segnale all’Unione con la missione “Mare sicuro”.
Nel medio e lungo termine la Commissione punta invece a chiudere accordi con i Paesi di origine e transito dei profughi, come già avvenuto col Marocco a giugno, nel quadro delle cosiddette “partnership di mobilità”. L’idea è quella di aprire nuovi canali di immigrazione legale, e al contempo siglare intese per la lotta ai network criminali, stabilendo regole chiare anche sui rimpatri.
Un progetto che funziona sulla carta, ma che all’atto pratico in Paesi come Libia e Egitto, principali porti di partenza dei ‘boat people’, si scontra con situazioni di forte instabilità politica. E lo stesso accordo con la Tunisia, che solo qualche mese fa sembrava a portata, ora appare più lontano.
Ma si insiste anche sulla necessità di una distribuzione, in modo solidale, dei profughi, che devono poter arrivare in Europa in modo legale. E proprio per questo si riflette su come “provare a sviluppare” i principi della protezione internazionale, con richieste di asilo nei consolati e visti umanitari.