Basta favole! Europeisti, arrendetevi: la vostra Europa è nata morta

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22 sett – Ormai è un tormentone noioso quanto inutile: “Dobbiamo farlo per l’Europa”, “Ora andiamo avanti sulla via dell’unità europea”, “E’ il momento di rilanciare l’unità d’Europa”… Ricorrentemente, un gruppo di “europeisti di professione” (Giuliano Amato, Mario Monti, Romano Prodi, etc) si esercitano nel solito esercizio retorico sul tema dell’unità politica europea che giustifica tutti i sacrifici di una austerità priva di senso e di prospettive. E’ un mantra buono per tutte le stagioni ed ora ci si esercita Massimo D’Alema (“Il Sole 24 Ore”, 4 settembre). Ma questi piccoli azzeccagarbugli abusivamente assurti al ruolo di “statisti” (udite udite!) non fanno i conti con una piccola verità: quello che vegliano amorevolmente non è un ammalato grave e neppure un corpo in coma irreversibile, ma un cadavere ormai in stato di decomposizione. Il disegno europeo è morto e non c’è più niente da fare.

Continuare con questa stucchevole litania serve solo a mantenere la costosa, vuota e barocca eurocrazia (Ue, Bce, Commissione Europea, Parlamento di Strasburgo, Consiglio) la cui ultima esilarante invenzione è Aldo Giannuliquel tale signor “Pesc” di cui non abbiamo più notizia alcuna. Il progetto europeo, soprattutto quello federalista, fu una grande idea molto seducente. Ma fu impostata molto male sin dall’inizio: troppo affidata alle élite diplomatiche, finanziarie, militari e politiche. Un progetto freddissimo che non è mai diventato carne e sangue dei popoli europei, sempre rimasti estranei anche psicologicamente a questa costruzione astratta e senza anima. I progetti politici, soprattutto quando aspirano alla grandezza dei grandi passaggi storici, non possono essere basati solo su freddi calcoli di ingegneria istituzionale.

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Costruire l’Europa avrebbe richiesto creare, prima di tutto, un’opinione politica europea, quel che avrebbe richiesto, con la dovuta gradualità, affrontare e risolvere il problema linguistico, perché non esiste nessuna opinione pubblica comune se ciascuno continua a parlare la sua lingua. Al massimo questa si concreta in un ristrettissimo bacino di classi colte, abituate a leggere la stampa in più lingue, a viaggiare, a frequentare incontri plurilingui. Roba che riguarda meno dell’ 1% della popolazione. Ma si preferì non affrontare il tema, più che altro per non darla vinta alla Francia che, in quel momento, poteva candidare il suo come idioma comune. Né si pensarono soluzioni che andassero al di là di una lingua nazionale. E la fragilità del progetto senza vita dell’Europa delle cancellerie si manifestò Jean Monnetassai presto con il naufragio del progetto della Comunità Europea di Difesa (1954).

Il progetto dell’unità politica ne venne seriamente scosso e la via scelta fu quella di aggirare il problema, puntando tutto sulla costruzione dell’unità economica del continente. Fu la linea di Jean Monnet che prometteva l’unità politica come prodotto dell’integrazione economico-finanziaria. Nei decenni a venire, l’unità economica fece effettivamente passi in avanti, ma parallelamente l’unità politica ne faceva indietro. Le burocrazie politiche nazionali non avevano alcuna intenzione di rinunciare al proprio ruolo ed il tema dell’unità politica era continuamente spostato in avanti mentre, nello stesso tempo, tutte le classi dirigenti nazionali facevano a gara a chi era più filo-americano. E gli americani volevano una Europa unita economicamente, come proprio principale mercato di sbocco, ma assolutamente non gradivano alcuna sua unità politica, per timore che questo rompesse l’equilibrio bipolare.

La sconfitta definitiva dell’unità politica non è di oggi o di dieci anni fa, ma risale al 1965, quando la Francia restò isolata nella sua battaglia sul superamento del dollar standard e sulle ingerenze americane ed uscì da sola dalla Nato (pur restando nell’Alleanza atlantica). Il ceto politico europeo era ormai totalmente asservito agli Usa, dal cui cono d’ombra non si sognava di uscire. La prova definitiva del loro nullismo politico venne un quarto di secolo dopo, quando crollò l’Urss e, con essa, la ragione stessa di esistenza della Nato: la scelta degli europei fu quella di confermare la partnership euro-americana, anzi allargarla ai paesi dell’Est europeo. L’Europa rinunciava a qualsiasi ruolo autonomo, accontentandosi di un modesto ruolo caudatario dell’Impero americano.

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In nessuna delle grandi crisi internazionali avvenute dopo il crollo del muro di Berlino (I° Guerra del Golfo, Somalia, Kossovo, Afghanistan, II° guerra del Golfo e successiva occupazione dell’Irak, primavera araba, Mali, etc) i paesi europei hanno avuto una posizione univoca ed in nessuna hanno parlato con la voce della Ue. Soprattutto, è andato squagliandosi l’asse portante della costruzione: l’intesa franco-tedesca. L’entusiasmo per l’euro è stata l’ultima stagione “felice” del progetto euro-tecnocratico. L’idea della moneta senza Stato era una balordaggine sin dall’inizio, ma ebbe qualche fortuna iniziale, soprattutto per il clima di euforia dei primi del secolo e per effetto delle Prodi e Ciampiguerre di Bush che, deprimendo il dollaro, consentirono all’euro di galleggiare.

Poi è arrivata la crisi che ha tolto tutti i veli: la Ue è stata incapace di una gestione comune della crisi; soprattutto in riferimento al debito pubblico, ancora una volta non ha avuto alcuna voce comune in nessuno dei G20, G8 e G-quel che vi pare, succedutisi dal 2008 in poi. Ed, anzi, la Germania (tratti tutti i vantaggi politici ed economici che poteva avere dall’Unione Europea) ha iniziato a chiedersi se valga la pena di insistere o andarsene, libera di navigare per i mari del mondo globale. Il progetto europeo è finito ed invocarlo serve solo come alibi alle politiche rigoriste il cui unico scopo è garantire i creditori, anche a costo di strangolare interi popoli. Il tardo europeismo è diventato il rifugio degli europeisti tardi. E allora, cari eurofili, fateci un segnalato piacere: smettetela di romperci le scatole con questo asfissiante ritornello di una unità politica in cui nessuno crede più.

(Aldo Giannuli, “Unità politica dell’Europa: ancora con questa storia?!”, dal blog di Giannuli .