1 sett – Barack Obama “naturalmente spera che il Congresso gli dica di no, perché dall’inizio di questa crisi è stato contrario all’intervento. Ma c’è il pericolo che gli dica di sì”. Edward Luttwak legge così gli ultimi sviluppi nella crisi siriana e le sue ripercussioni negli Stati Uniti. Il presidente non ha rinunciato all’intervento, “ha trasferito la responsabilità al Congresso come prevede la costituzione quando c’e’ una situazione non urgente”, spiega all’Adnkronos.
Per il politologo, economista e saggista Obama è stato da sempre contrario all’intervento “per ottime ragioni”. “Perché la vittoria di Assad vorrebbe dire oggi la vittoria di Iran e Hezbollah che sono nemici degli Stati Uniti. Perché i ribelli sono molti, diversi, ma molti di loro sono sunniti, pronti ad uccidere in caso di vittoria più alawiti di quanti siano stati i morti in guerra finora. Ci sono tra questi inoltre numerosi salafiti, pronti a loro volta ad uccidere anche altri sunniti se non sono abbastanza religiosi e c’è una massa di jihadisti, per i quali la vittoria in Siria sarebbe l’inizio di una guerra contro il Libano ed Israele. Infine c’è un gruppo di Al Qaeda per cui una vittoria significherebbe avere una base per attaccare l’Europa”.
“La vittoria dei ribelli sarebbe quindi un disastro, la vittoria di Assad sarebbe un disastro e quindi non c’è un possibile intervento in Siria che possa essere utile, perché fatalmente aiuterebbe l’uno o l’altro. Qualsiasi mossa militare sarebbe controproducente perché non si vuole la vittoria né dell’uno né dell’altro”.
“Obama spera dunque che il Congresso dica di no ma c’è il pericolo che dica di sì”, prosegue Luttwak. “Perchè c’è la pressione dei grandi umanitari, di quelli che dicono ‘fai qualcosa’ senza specificare cosa e che lamentevolmente includono gente che Obama stesso ha messo in posizioni ” a lui vicine, “come il segretario di stato, che è un entusiasta dell’intervento”. “Obama è nella sfortunata posizione di aver messo gente intorno a sé che sta premendo contro di lui, su di lui invece di star zitta e lasciarlo lavorare e farlo continuare con questa eccellente politica di non intervento”.
Per il politologo “se c’è una responsabilità morale appartiene alla Turchia, un paese di 70 milioni di abitanti, con un grande esercito, 700 chilometri di frontiera con la Siria e un primo ministro Erdogan che va in giro da anni a proclamare il suo diritto di intervento in tutta la zona. E’ assurdo che Erdogan faccia continui discorsi dicendo che il mondo deve intervenire. Non il mondo, ma loro”.
Poi ci sono le possibili iniziative politiche. “Le possono fare i diretti interessati, oppure le organizazioni come la Lega Araba, l’Onu”. “Non ci sono ostacoli a questa iniziativa, che però non possono prendere gli americani perché sono contro Iran, Hezbollah e Assad. Ci vuole l’organizzazione della conferenza islamica, o le Nazioni Unite o la Lega Araba”.
tiscali