Lo scorso 27 ottobre i dueprincipali quotidiani italiani, Corriere della Sera e Repubblica, hanno annunciato la vittoria delle elezioni tunisine da parte del partito Al-Nahdha parlando di islamismo “moderato”. Il giorno successivo il quotidiano arabo internazionale Al Hayat conteneva un
editoriale di Raghda Durgham dal titolo “L’occidente confisca le rivoluzioni a vantaggio degli islamisti” che esordiva con queste parole: “Mentre l’occidente parla della necessità di accettare il risultato del processo democratico che ha portato gli islamisti al potere nella regione araba, aumentano i dubbi circa le intenzioni dell’occidente stesso che ha avviato una nuova politica volta a favorire lo sviluppo della corrente islamica indebolendo le correnti moderniste, laiche e liberali”. Anche altri commenti provenienti dal mondo arabo non trasudano certo tranquillità né serenità per i risultati tunisini. A prescindere dal fatto che sono sempre stata contraria al termine moderato riferito sia all’islam sia ai musulmani, prediligendo altre definizioni, mi domando come possa essere “moderato” un partito legato ai Fratelli musulmani il cui motto è dato dal verso 60 della sura VIII del Corano: “E preparate contro di loro forze e cavalli quanto potete, per terrorizzare il nemico di Dio e vostro, e altri ancora, che voi non conoscete ma Dio conosce, e qualsiasi cosa avrete speso sulla via di Dio vi sarà ripagata e non vi sarà fatto torto”.
Sebbene Rached al-Ghannouchi, leader di Al-Nahdha, non solo nel corso di tutta la campagna elettorale, ma sin dal suo rientro dall’esilio in Gran Bretagna, abbia giocato al ribasso ovvero rassicurando i tunisini sul fatto di non volere uno stato teocratico, di non volere fare venire a meno i diritti acquisiti dalle donne tunisine, di avere come modello la Turchia, è evidente che non potrà certo venire a meno ai pilastri del suo pensiero e della dottrina dei Fratelli musulmani. Non fonderà uno Stato teocratico, ma uno stato in cui la sharia, l’islam svolgeranno un ruolo preponderante. D’altronde Ghannouchi stesso nel volume Muqarabat al-‘ilmaniyya (Avvicinamenti alla laicità, Dar al-Mujtahid, Tunisi 2011, pag. 33) non dà adito a dubbi sulla sua concezione di Stato: «Lo Stato islamico è uno stato di diritto per eccellenza ovvero l’autorità della sharia prevale su quella dello Stato».
E’ pur vero che i più hanno conosciuto al-Ghannouchi solo negli ultimi mesi e soprattutto attraverso le sue dichiarazioni alla stampa internazionale. Sono in pochi ad avere avuto modo di leggerne gli scritti in arabo, primo fra tutti il suo saggio fondamentale Le libertà generali nello Stato islamico (“al-hurriyat al-‘amma fi al-dawla al-islamiyya, Markaz Dirasat al-Wahda al-‘Arabiyya, Beirut 1993, p. 48). Qui nel paragrafo dedicato a “La questione dell’apostasia” scrive: “L’apostasia è la miscredenza, in modo consapevole e per propria scelta, dopo avere abbracciato l’islam. Questo attraverso la rinnegazione, oppure una forma simile, dei fondamenti dell’islam, quali gli articoli di fede, le leggi divine o simboli. Ad esempio attaccare la dignità divina o della profezia, oppure autorizzare ciò che è vietato dalla religione oppure negare i doveri religiosi e così via. I versi coranici hanno enunciato più volte la ripugnanza di questo reato e minacciato chiunque se ne renda colpevole di un castigo cocente, senza però esplicitare una pena precisa nella vita terrena. Invece la tradizione islamica identifica la pena nella condanna a morte: “Uccidete chiunque cambi religione”. Tutti i Compagni – Dio si compiaccia di loro – concordano sulla condanna a morte degli apostati.” Sempre nello stesso volume a pagina 54 affronta il tema della sharia come fonte di legislazione: “Come non stipulare l’islamicità di un capo (di Stato), il cui compito essenziale è quello di mettere in pratica la religione, orientare la politica dello Stato nei limiti dell’islam, di educare la nazione islamica secondo i precetti dell’islam, di esserne la guida nella preghiera, di predicare […] e di essere un esempio da imitare? Il Corano è chiaro. Ha stabilito che il sovrano debba essere musulmano: ‘“Obbedite a Dio, all’Inviato e a coloro tra di voi che detengono l’autorità” (Corano, IV, 59). E’ assurdo, impossibile chiedere a un non musulmano assumere il potere, vigilare sulla religione e la gestione degli affari terreni”. Questi sono solo alcuni esempi del pensiero del leader del partito Al-Nahdha che chiariscono perfettamente che si tratta di un’ideologia giustificata dall’islam. Quel che stupisce è che l’occidente non ascolti le persone che in Tunisia, in particolare, nel mondo arabo in generale conoscono i Fratelli musulmani dai loro discorsi in arabo, ovvero dalle fonti dirette, non dai discorsi impacchettati per l’occidente in francese e in inglese. Basterebbe ricordare l’ammonimento di Mohammed Charfi, intellettuale tunisino ed ex Ministro dell’Istruzione, che nel suo saggio Islam et liberté ha definito in mondo molto esplicito gli islamisti “moderati”: “Gli osservatori definiscono oggi moderato l’islamista che innanzi agli occidentali usa un linguaggio ragionevole e che non sceglie apertamente l’azione violenta. Anche se lo stile calmo e il rifiuto della violenza sono sinceri, dal momento che il movimento è sempre legato alla sharia e alla sacralizzazione della storia, la moderazione rimane provvisoria e indica una strategia d’attesa, perché gli ingredienti della radicalizzazione non sono scomparsi.” Ebbene secondo Charfi gli islamisti “cesseranno di essere un movimento di sovversione politica solo quando ammetteranno che il
diritto positivo moderno, diverso dalla sharia, è legittimo”. … E questo momento non è ancora arrivato!
ISLAM-S DIZIONARIO. MUSULMANI “MODERATI”. Il 3 luglio 2004 e il 17 dicembre 2005 il settimanale egiziano al-Ahram al-arabi pubblica alcune dichiarazioni di Yusuf al-Qaradawi, meglio noto come lo shaikh della televisione satellitare Al Jazeera, e presidente dell’European Council for Fatwa and Research con sede a Dublino, in base alle quali dichiara lecita l’uccisione degli intellettuali dei laici da lui considerati apostati.
Nell’intervista pubblicata nel dicembre 2005 lo shaikh afferma senza mezzi termini: “Secondo loro [i fautori del laicismo] rinnovamento significa
semplicemente uscire dall’ambito delle prescrizioni sharaitiche.[…] Costoro hanno abbandonato il Corano, hanno alterato la sharia a loro piacimento” .
Ciononostante c’è ancora chi sostiene che Qaradawi, referente giuridico dei Fratelli musulmani in Europa, sia un moderato. In un momento delicato come quello attuale non ci si può permettere degli errori. Bisogna soppesare ogni parola e ricordare che il significato di una parola dipende dal contesto, dal codice linguistico utilizzato. Ad esempio, in un articolo sull’estremismo, pubblicato nel 1981, Qaradawi conclude con le seguenti parole: “La legge religiosa insegna che coloro che abbracciano l’islam con convinzione possono esserne espulsi solo a seguito di prove chiare e sostanziali. Anche i peccati gravi quali l’omicidio, la fornicazione e il bere alcolici non giustificano l’accusa di infedeltà, ammesso che la persona in questione non dimostri mancanza di rispetto, rifiuto di riconoscere la legge religiosa. […] Inoltre la legge religiosa ha prescritto punizioni diverse per crimini quali l’omicidio, la fornicazione e lo stato di ebbrezza. Se tutte queste fossero considerate miscredenza, sarebbero state punite secondo la legge che riguarda l’apostasia.”
Risulta evidente che non ci si trovi innanzi a un vero moderato, a meno che per moderato non si intenda colui che semplicemente non commette di propria mano un attentato. Ne consegue in primo luogo che se si vuole utilizzare il termine moderato bisogna prima definirlo, e che una volta definito il termine sarebbe in ogni caso preferibile utilizzare l’espressione “musulmani moderati”, poiché così come non esiste un solo islam, bensì tanti islam-s, non può esistere un unico islam moderato, ma per lo meno tanti musulmani moderati. In una religione come l’islam che poggia le
fondamenta sul rapporto diretto tra Dio e il singolo credente è impossibile generalizzare e uniformare. Come ha giustamente affermato l’antropologa francese Dounia Bouzar il “signor Islam non esiste”, esistono i musulmani. Bisogna rivalutare quello che Abdennour Bidar, professore di filosofia all’Università di Nizza, definisce il self islam, ovvero “un islam degli individui e non della comunità”, poiché “niente, oggi in Europa, assomiglia di meno a un musulmano che un altro musulmano”.
Ma chi sarebbe un musulmano moderato? Come lo riconosciamo? Non è solo Mohamed Charfi a metterci in guardia, ma anche l’analista americano Daniel Pipes che in un articolo pubblicato il 26 novembre 2003 sul Jerusalem Post ha affrontato lo spinoso interrogativo che riguarda l’identificazione di un musulmano “moderato”. Ricorda giustamente che non bisogna porre domande vaghe, bensì interrogativi precisi, ed elenca quindi una serie di domande tipo, di cui riportiamo qui di seguito alcuni esempi:
– Giustifichi o condanni i palestinesi, i ceceni e gli abitanti del Kashmir che si suicidano per uccidere i civili nemici? Condanni in quanto gruppi terroristici organizzazioni quali Abu Sayyaf, al-Gamaa al-islamiyya, GIA, Hamas, Harakat ul-mujahidin, Jihad islamica, Jaish-e Mohammed, Lashkar-e tayyiba e al-Qaeda?
– Le donne musulmane devono godere degli stessi diritti degli uomini? Il jihad, inteso come una forma di guerra, è oggi ammissibile? Accetti la validità delle altre religioni? I musulmani possono imparare qualcosa dall’occidente?
– I non musulmani possono godere degli stessi diritti dei musulmani? I musulmani si possono convertire ad altre religioni? Le donne musulmane possono sposare non musulmani? […] Quando le usanze islamiche entrano in conflitto con le leggi laiche, quale dei due sistemi prevale?
– I mistici e gli sciiti sono musulmani a pieno titolo? Credete che i musulmani che non sono in accordo con voi siano dei miscredenti? Condannare di apostasia un vostro correligionario è una pratica accettabile?
– Accetti la legittimità della ricerca scientifica che si occupa delle origini dell’islam? Chi è responsabile degli attentati dell’11 settembre
– Accetti maggiori misure di sicurezza per combattere l’islam militante, anche se ciò comporta un maggiore controllo nei tuoi riguardi? […]
– Accetti che le nazioni occidentali siano a maggioranza cristiana e laica oppure cerchi di trasformarle in nazioni a maggioranza musulmana governate dalla legge islamica?
Non c’è dubbio che il questionario di Daniel Pipes qualora sottoposto ad alcuni di coloro che in occidente vengono definiti “moderati”, riserverebbe molte sorprese. Ad esempio, è diffusa l’opinione che Tariq Ramadan, nipote di Hasan al-Banna fondatore dei Fratelli musulmani, sia un moderato. Costui teorizza un mitico islam europeo, un modello di islam in condizione di minoranza, un islam che propone una sorta di tregua all’occidente in attesa di conquistarlo, nella migliore tradizione del movimento fondato da suo nonno. Certo è che nei suoi numerosi scritti, Ramadan non fa alcuna apologia palese del terrorismo, ma quando gli è stato domandato dalla giornalista italiana Silvia Grilli se giustificasse i kamikaze palestinesi che uccidono i civili israeliani, allora ha risposto: “questi atti sono in sé condannabili, cioè bisogna condannarli in sé. Ma quello che dico alla comunità internazionale è che sono contestualmente spiegabili e non giustificabili. Che cosa significa? Vuol dire che la comunità internazionale ha messo oggi i palestinesi in una tale situazione, dove li sta consegnando a una politica oppressiva, che ciò spiega, ma senza giustificare, che a un certo punto la gente dica: non abbiamo armi, non abbiamo niente e dunque non si può fare che questo. E’ contestualmente spiegabile, ma moralmente è condannabile” . La sua condanna al terrorismo è sempre seguita da un “se” o da un “ma”. Per meglio illustrare il personaggio Tariq
Ramadan, la sua estrema abilità affabulatoria, basta citare la dedica del libro di Caroline Fourest, Frère Tariq : “A tutti coloro che, come me, hanno un tempo sperato che Tariq Ramadan potesse essere uno degli ambasciatori della lotta contro le discriminazioni, un alleato nella lotta contro la globalizzazione che uccide la diversità e portatrice di dominazione, e che si sono accorti che militava soprattutto per porre questa rivolta al servizio di un islam politico arrogante, dominante e manicheo”. Lo studio della Fourest è stato ripreso anche dall’intellettuale egiziano Adel Guindy in tre articoli apparsi sul settimanale copto egiziano Watani. Guindy ricorda che in un’audiocassetta dal titolo Islam e laicità, Ramadan
chiede ai musulmani “di partecipare alla vita politica in tutte le sfere […] di modo che potremo cambiare le cose verso una maggiore accettazione dell’islam”, sostenendo che “è importante per il musulmano agire come un cittadino in modo da influenzare il suo contesto sociale, anche se gli è impedito di essere influenzato dall’ambiente”. Lo stesso ragionamento veniva fatto da Rachid al-Ghannouchi
che affermava: “Se l’obiettivo nel breve e nel lungo termine di ogni gruppo islamico per attuare gli ordini divini è l’instaurazione di un governo islamico, la sharia prende in considerazione la possibilità che questo obiettivo non sia facilmente realizzabile e quindi fornisce un’alternativa. In
presenza di circostanze eccezionali, i gruppi islamici posso allearsi con gruppi non islamici per insediare un sistema pluralistico di governo dove il
potere è detenuto dal partito di maggioranza. […] Il vero problema risiede nel convincere l’’altro’, ovvero i governi al potere, del principio della
“sovranità popolare” e del diritto degli islamisti di costituire partiti politici.” Tariq Ramadan è più accorto e più astuto di Ghannouchi, sa maneggiare con maestria l’arte della taqiyya, della dissimulazione, e a più riprese ha negato il proprio legame con i Fratelli musulmani, tuttavia
nell’edizione francese del suo Essere musulmano europeo pubblica un glossario, assente nell’edizione italiana, ove alla voce riservata a Hasan al-Banna scrive “il fondatore dei Fratelli musulmani, tanto citato, ma poco letto. In Occidente lo si conosce soprattutto
attraverso quel che dicono i suoi nemici politici e in modo particolare colonizzatori inglesi e i militanti sionisti”. Colonizzatori inglesi e militanti sionisti il cui comune denominatore, secondo Tariq Ramadan, è l’islamofobia. Ma non sono certo più rassicuranti le parole di Hasan al-Banna, riportate nel sermone di venerdì 14 marzo 2003 da Yusuf al-Qaradawi, referente di Tariq Ramadan: “In gioventù avevo l’abitudine di recitare alcune invocazioni, tra cui una che diceva: ‘O Dio accordami da parte tua una vita piacevole e una morte piacevole!’ Cari fratelli che cosa credete che sia la morte piacevole? Credete che una morte piacevole consista nel morire nel proprio letto, vicino ai propri familiari e i propri figli? E’ questa la morte piacevole? Tutti muoiono così. In verità, c’è la morte piacevole nel momento in cui questa testa è staccata da questo corpo sulla via di Dio”.
Dov’è in queste parole il rispetto per la vita altrui? E’ con persone come Qaradawi e Tariq Ramadan che dobbiamo dialogare? Persone che propongono una moratoria circa le pene corporali previste dall’islam e non dicono chiaramente che queste pene corporali sono contrarie ai diritti umani e che quindi vanno abolite definitivamente come invece sostengono molti intellettuali musulmani oggi?
A Tariq Ramadan e a Ghannouchi purtroppo fanno riferimento alcuni musulmani d’Italia, anch’essi molto spesso definiti “moderati” dai mezzi di comunicazione e dai politici italiani. Si tratta degli appartenenti all’Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia (UCOII), presieduta in passato dal siriano Nour Dachan e oggi dal palestinese Ezzeddin Elzir. In Italia circola anche una traduzione – ed è la più diffusa – del Corano sotto la supervisione dell’Ucoii ad opera del ex segretario nazionale dell’associazione Hamza Roberto Piccardo (edizioni Newton and Compton). Qui la spiegazione del termine “oppressori” a commento del versetto 98 della sura IV deve fare riflettere sulla “moderazione”: “Quest’ultimo termine comprende gli orientalisti, le autorità di religioni altre che l’Islam, i giornalisti e tutti coloro che contribuiscono alla campagna di disinformazione a proposito dell’Islam e dei musulmani. Costoro riceveranno cocente castigo, mentre è possibile che Allah, nella Sua infinita misericordia, perdoni gli oppressi.” Il tutto è confermato dal commento al versetto 33 della sura V che recita “La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano
loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno
castigo immemso”. Piccardo scrive alla nota 28 di pagina 113: “Questo versetto indica la pena che la sharia commina a coloro che in modo organizzato, cosciente e reiterato, compiono atti criminali contro la società islamica,
genocidio o anche solo brigantaggio, rapina a mano armata, sequestro di persona a fine di riscatto. Il versetto prevede anche una graduazione della sanzione in base alla gravità della colpa commessa ed è comunque previsto che coloro i quali si pentono, si ravvedono e sono disposti a riparare al male compiuto possano essere perdonati dall’autorità (fermo restando il contenzioso con le vittime delle loro imprese che viene regolato in base alla normativa relativa all’omicidio e a quella delle lesioni volontarie).
Si parte perciò dal presupposto che esista un unico islam, una umma ideale, che esclude l’utilizzo libero del raziocinio. Si parte dal presupposto che la sharia sia una legge superiore a quella dello Stato. Un islam che va accettato così come è, senza domandarsi, come fanno molti intellettuali arabi e musulmani oggi se ad esempio il testo coranico non vada adeguato ai tempi in cui si vive e che quindi certe regole vadano considerate semplicemente come un prodotto del VII secolo dopo Cristo e oggi abrogate.
E’ con queste persone, con gli islamisti “moderati”, che vogliamo dialogare oppure con quegli intellettuali che basano la propria vita sul libero uso della ragione, sul rispetto della libertà, che talvolta sono meno abili a proporsi e la cui professione non è fare il musulmano, ma che sono musulmani a pari diritto degli altri?
A questo punto è lecito chiedersi se l’espressione “moderato” non andrebbe sostituita con quella di “liberali” proposta dall’intellettuale giordano Shaker al-Nabulsi. Forse faremmo meno confusione e forse l’occidente capirebbe che un islamista è un islamista e che una mente libera e rispettosa della libertà è tutt’altra cosa.