1 lug – “Appuntato, ha visto quante persone hanno chiamato a testimoniare al processo Stato-mafia? Vogliono chiamare circa 130 persone. Le pare giusto quello che stanno facendo? Mi vogliono condannare per forza, mi stanno mettendo sotto pressione a me e tutta la mia famiglia”. Era il 21 maggio scorso e il boss mafioso Toto’ Riina si sarebbe rivolto cosi’ all’agente di custodia cautelare del carcere di Opera a Milano. La uardia del Gom ha scritto tutto in una relazione che e’ stata depositata oggi al processo per la trattativa Stato-mafia.
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“Stanno facendo pure le perizie calligrafiche dei miei figli – avrebbe poi detto il boss alla guardia del Gom – Io di questo papello non so niente. Non l’ho mai visto”. Il riferimento e’ al cosiddetto ‘papello’, cioe’ la lista con le richieste di Cosa nostra allo Stato per la trattativa. “La vera mafia in Italia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra loro e scaricano ogni responsabilita’ sui mafiosi”. “La mafia – avrebbe poi detto Riina – quando inizia una cosa la porta a termine assumendosi tutte le responsabilita’. Io sto bene, mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura”.
“Io sono stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse, come e’ che sono responsabile di tutte queste cose?”: Cosi’ il boss mafioso Toto’ Riina riosponde ai una guardia carceraria che gli ricorda di trovarsi in carcere perche’ ritenuto colpevole “nei vari processi che si sono svolti davanti alle varie autorita’ giudiziarie”. “Nella strage di Capaci – dice ancora riina – mi hanno condannato con la motivazione che essendo io il capo dio Cosa nostra non potevo non sapere come e’ stato ucciso il giudice Falcone. lei mi vede a me a confezionare la bomba di Falcone?”.
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Leonardo Sciascia