20 apr – (libero) L’elevato consenso di cui Giorgio Napolitano gode tra i partiti e nel Paese ha oscurato l’altro competitor della corsa per il Quirinale: Stefano Rodotà, il candidato del M5s appoggiato anche da Sel. In realtà era una partita dal risultato già scritto: dal momento in cui Napolitano ha accettato di ricandidarsi era scontata una sua elezione. Tutti, persino il M5s e i suoi elettori, erano ben consapevoli che Rodotà ne sarebbe uscito con le ossa rotte. Lui, Rodotà, forse no. Un po’, nel suo intimo, ci credeva. E anzi, non vedeva l’ora di consumare quella vendetta che attendeva da vent’anni.
L’ennesimo sgambetto – Correva l’anno 1992 e l’allora presidente del Pds, Rodotà appunto, era uno dei candidati alla presidenza della Camera, nominato controvoglia dal suo partito. Alle prime due votazioni non ce la fece. Fiutata l’aria, il Pds lo abbandonò al suo destino per altre due votazioni, dalle quali uscì sonoramente sconfitto, accordandosi al contempo con la Dc per l’elezione allo scranno più alto di Montecitorio di un altro pidiessino: Giorgio Napolitano. Una scelta che mandò su tutte le furie il solitamente mite professor Rodotà, che abbandonò la presidenza del partito e la vice presidenza della Camera. A bruciarlo, come si dice oggi, proprio il partito di cui era presidente, il Pds. Oggi, allo stesso modo, il Pd gli ha preferito Napolitano. Ancora una volta. Al tempo, il quotidiano La Stampa titolò: “Si a Napolitano, sgambetto a Rodotà”. Un titolo che andrebbe bene anche per sintetizzare la giornata di oggi.