Il razzismo non c’entra nulla con la sentenza d’appello del processo Meredith

di Claudio Romiti

Meredith Kercher

A margine del processo di appello per l’omicidio della povera Meredith Kercher si sta formando un movimento, per così dire, d’opinione ben poco rassicurante. Esso, in breve, tenderebbe a ricercare nel razzismo l’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, tendendo a far passare il ragazzo di colore Rudy Guede come capro espiatorio dell’intera, sporca faccenda. In sostanza, ci troveremmo di fronte all’azione occulta di una sorta di ku klux klan internazionale che avrebbe  trovato un agnello sacrificale da immolare sul rogo della giustizia bianca.

Ora, ad alimentare in modo poco responsabile questa farneticante tesi, la quale sta trovando molta eco anche nel mondo del web, ha contribuito il Pm Giuliano Mignini in sede di requisitoria finale, allorchè ha dichiarato che “si vuole come sempre scaricare sul più debole, sul ragazzo di colore, tutte le colpe degli altri indagati”. Impostazione fortemente intrisa di ideologia ripresa, altrettanto inaspettatamente dalla dottoressa Matone, ex magistrato ed ospite fissa di Bruno Vespa, la quale nell’ultima puntata di “Porta a porta” ha detto che con “amarezza constatiamo che alla fine l’unico che è rimasto in carcere è il povero negro”.

Ora, occorre precisare e ricordare a chi abbia seguito nei dettagli il caso che il “povero” ragazzo di colore non è stato inchiodato dal colore della sua pelle, bensì da una serie impressionante di tracce biologiche, di impronte e di orme rinvenute sul e all’interno del corpo della povera vittima, su molti oggetti -compresa la borsetta di Meredith- e sul pavimento della stanza del delitto.

Una massa imponente di riscontri probatori chiari e concordanti che avrebbero mandato all’ergastolo chiunque, bianco, nero, giallo o rosso che fosse. Ma non Rudy Guede, dato che i magistrati inquirenti sono riusciti a complicare un caso nel quale, oltre alla evidente firma dell’autore, mancava solo la ripresa filmata. Da qui nasce, come giustamente definito in modo laconico dall’avvocato Giulia Bongiorno, “l’anomalia del concorso in omicidio”.

In sostanza, a meno di voler sostenere che il citato ku klux klan abbia selezionato le prove della scientifica, la dinamica dell’omicidio e i riscontri obiettivi agli atti non possono portarci ad escludere che la morte della povera Metz sia opera di un solo balordo che, come mostrano altri precedenti, era uso a commettere piccoli furti nelle abitazioni, utilizzando una grossa pietra per entrare attraverso una finestra. Così come il razzismo non entra nulla col fatto che nella stanza del delitto, a parte il gancetto, non ci siano tracce nè di Amanda e nè di Raffaele.

Il razzismo, che in tutta questa storia comincia a fare rima con antiamericanismo, non dovrebbe mai antrare in un luogo di giudizio in cui a contare sono solo i fatti. In questa drammatica vicenda l’unica persona debole ed indifesa che non c’è più è la povera Meredith Kercher, barbaramente uccisa nel fiore dei suoi anni. Sotto questo profilo, invocare lo spettro della discriminazione razziale è il peggior modo per onorarne la memoria.

Claudio Romiti