Claudio Romiti
Come ampiamente riportate dai media, anche gli Stati Uniti hanno i loro “indignados”, dal nome dei primi contestatori egualitaristi diffusi in Spagna.
Protestando violentemente contro i ricchi di Wall Street, tanto che la polizia newyorkese ne ha arrestati circa 700, questi novelli collettivisti d’oltreoceano hanno sostanzialmente ripetuto un copione vecchio come il cucco. Un copione che piace anche a molti nostri connazionali, in Italia e nella sempre rossa Umbria, regione in cui il citato collettivismo è da decenni entrato nel suo Dna culturale ed istituzionale.
In sostanza, cosa chiedono gli “indignados” di mezzo mondo, cresciuti soprattutto a causa di una crisi a cui nessuno sembra poter dare una risposta efficace? Una cosa molto semplice ma, per chi abbia un tantino approfondito il passato, piuttosto pericolosa nella sua applicazione: giustizia sociale. Ossia il principio dell’uguaglianza esteso oltre che sul piano dei cosiddetti diritti umani anche su quello economico. Secondo questa gente, con varie sfumature, l’idea sarebbe quella di invocare più Stato, più politica e più burocrazia, affidando alla sfera pubblica il compito di livellare economicamente la società a vantaggio delle classi più deboli; il famoso proletariato di marxiana memoria.
Al grido “abbasso i ricchi”, anche gli “indignados” americani, al pari di quelli europei, auspicherebbero un “nuovo” sistema politico in cui una forsennata redistribuzione dei redditi dovrebbe essere posta al centro di qualunque azione di governo, come in realtà già in parte avviene da tempo nel mondo sviluppato. In questo modo, secondo codesti sinistri utopisti, una minoranza di facoltosi magnate diventerebbero molto meno ricchi a vantaggio delle masse, mediamente beneficiate dal giusto sacrificio dei Paperoni.
Ora, il problema è che questa demenziale teoria dei vasi comunicanti non ha mai funzionato ovunque sia stata applicata, dando luogo ad un impoverimento generale, tranne che per le varie nomenklature che gestivano un potere coercitivo, ufficialmente finalizzato a fare il bene degli ultimi. Questo per il semplice motivo che l’economia funziona in modo spontaneamente dinamico, per cui ogni intervento, soprattutto se eccessivo, teso a pianificare e riequilibrare il suo andamento rischia di bloccarne gli effetti propulsivi.
Dato che, come dimostrato nel sangue e nelle sofferenze dai popoli dell’ex impero sovietico, la ricchezza deve essere prodotta attraverso una serie di stimoli, principalmente di natura individuale, vincolarne troppo la produzione sul piano politico, non può che penalizzare l’intero sistema, rendendo alla fine tutti più poveri, “proletari” compresi.
In ultima analisi, se l’invidia sociale degli “indignados” di mezzo mondo dovesse trovare una qualche applicazione nelle nostre società già sature di imposte e di redistribuzione, il socialismo strisciante che si pappa mediamente circa metà del Pil potrebbe fare un balzo decisivo, causando il collasso economico dell’Occidente. Poi vorrei proprio vedere quanti saranno ad indignarsi!
Claudio Romiti