18 mar – “La decisione della Corte Suprema di precludere al nostro Ambasciatore di lasciare il Paese senza il permesso della stessa Corte costituisce un’evidente violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche che codifica principi universalmente riconosciuti. Continuiamo a far valere anche formalmente questo principio, fondamentale per le relazioni tra gli Stati, e principio-cardine di diritto consuetudinario e pattizio costantemente ribadito dalla Corte Internazionale di Giustizia”. Così il governo italiano sulla vicenda dei marò diffuso dalla Farnesina. “L’Italia continua a ritenere che il caso dei suoi due Fucilieri di Marina debba essere risolto secondo il diritto internazionale. In questo senso abbiamo proposto di deferire all’arbitrato o altro meccanismo giurisdizionale la soluzione del caso”.
Stamani La Corte Suprema indiana ha usato oggi a New Delhi le maniere forti nei confronti di Daniele Mancini, mettendone nuovamente in discussione il diritto ad una piena immunità diplomatica per il non rispetto di una dichiarazione giurata presentata a sostegno della richiesta di permesso per i marò.
Come conseguenza di questo ha confermato – ed esteso “fino a nuovo ordine” – la limitazione posta giorni fa nei confronti del diplomatico italiano di non lasciare l’India, preoccupandosi anche di chiedere al suo governo di “predisporre le necessarie misure restrittive”. Al termine di una tesissima udienza durata 45 minuti, in cui hanno sostenuto che “in linea di principio Latorre e Girone non hanno ancora materialmente infranto il loro impegno di ritornare entro il 22 marzo”, i giudici hanno aggiornato la seduta al prossimo 2 aprile. In questo modo, secondo gli analisti, la Corte ha di fatto lasciato quattro giorni a Italia e India per trovare una soluzione prima di dover ammettere che le dichiarazioni giurate di Mancini e dei marò hanno effettivamente perso di valore.
E, se si vuole, anche un periodo di tempi supplementari di un’altra decina di giorni per avvicinare le posizioni e instradare la crisi su un percorso praticabile. In un’aula affollatissima, il tribunale di tre membri presieduto dallo stesso presidente della Corte Suprema, Altamas Kabir, ha riesaminato il caso del permesso concesso il 22 febbraio scorso ai due militari di recarsi in Italia, e la decisione di Roma di trattenerli. In assenza di Mancini – che non aveva l’obbligo di assistere all’udienza – i giudici hanno ascoltato un riepilogo del caso dal Procuratore generale G.E. Vahanvati, che ha anche divulgato il contenuto di una nota verbale inviata dalla Farnesina all’ambasciata indiana a Roma il 15 marzo sulla necessità di rispettare la Convenzione di Vienna nel giudicare il ruolo svolto dall’ambasciatore italiano. Dopo l’abbandono da parte dell’avvocato Harish Salve – che non ha condiviso la scelta di non far ritornare come promesso i due fucilieri del San Marco – le ragioni italiane sono state esposte oggi da un altro avvocato di grido indiano, Mukul Rohatgi.
Questi ha ricordato “la totale protezione che la Convenzione di Vienna offre ai diplomatici” e il fatto che “nessuno in India può limitare tale immunità”. Ma il presidente Kabir – sotto tiro dalla stampa indiana per aver concesso il permesso a Latorre e Girone sulla base solo delle dichiarazioni giurate – ha sostenuto che “l’ambasciatore non gode di immunità”, avendo presentato “volontariamente” alla Corte una dichiarazione giurata il 9 marzo. “Abbiamo perso fiducia nel signor Mancini”, ha detto, aggiungendo che non accetterà più dichiarazioni dall’Italia. In questo modo Kabir è sembrato voler usare come una sorta di grimaldello l’art. 32 della Convenzione di Vienna (su ipotesi di limitazione della immunità) contro l’art.29 che invece sostiene che “la persona dell’agente diplomatico è inviolabile” e che egli “non può essere sottoposto ad alcuna forma di arresto o detenzione”.
Nel corso del suo briefing settimanale poche ore dopo l’udienza della Corte, il portavoce del ministero degli Esteri, Syed Akbaruddin, ha ammesso che effettivamente “esiste un conflitto di giurisdizioni” sulla questione dei marò che “deve essere esaminato”, rifiutandosi di confermare la possibile esistenza di discussioni in corso fra Roma e New Delhi. Con un maggiore senso di apertura per l’ipotesi, invece, l’Unione europea ha ripetuto di aver “preso nota delle discussioni in corso”, sperando che “una soluzione consensuale possa essere trovata attraverso il negoziato ed il rispetto delle regole internazionali e soprattutto della Convenzione di Vienna”. Nulla di più però, dal momento che il portavoce della Ashton ha affermato che l’Ue “non fa parte della disputa legale” tra Italia e India e “perciò non può prendere posizione nel merito degli argomenti legali”. Indignazione e polemiche in Italia per la decisione dei giudici indiani. Secondo Guido Crosetto, coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia, Roma deve reagire all’ “inaccettabile” decisione indiana “nello stesso identico modo”: ovvero trattenendo l’ambasciatore indiano a Roma. Mentre la collega di partito Giorgia Meloni polemizza con il governo Monti denunciando “la situazione assurda e imbarazzante in cui si è cacciata l’Italia” per colpa “di questo governo di dilettanti tecnici allo sbaraglio”. Il Pdl ha invece annunciato un’interrogazione.