I rischi dei paesi aiutati dalla BCE

di Claudio Romiti

L’opzione che si sta profilando, onde evitare un pericoloso effetto fallimento a catena, è sostanzialmente quella che la Banca centrale americana, la Fed, ha adottato da tempo. La forte ripresa che si è registrata in questi giorni sui mercati finanziari è dovuta essenzialmente ad una notizia, basata su una autorevole indiscrezione pubblicata dal quotidiano inglese “Sunday Times”, secondo la quale i Paesi del G20 starebbero elaborando un piano per potenziare il cosiddetto Fondo salva Stati (European Financial Stability Facility), portandolo dagli attuali 440 miliardi di euro alla colossale cifra di 3.000 miliardi.

Questa enorme riserva dovrebbe essere impiegata, innanzitutto, per ricapitalizzare 16 banche europee, maggiormente esposte in caso di default della Grecia. Ma l’idea dell’intera operazione di salvataggio finanziario sarebbe quella di circoscrivere un eventuale fallimento, oltre alla stessa Grecia, solo a Portogallo e Irlanda, evitando che anche Italia e Spagna vengano travolte, disintegrando di fatto l’eurozona.

Ebbene, una tale prospettiva ha immediatamente rassicurato i mercati, soprattutto sul conto delle aziende più esposte al rischio default, le banche, provocandone un tumultuoso rialzo. Rialzo generalizzato che, se il progetto dovesse realmente concretizzarsi, potrebbe riportare molto in alto i depressi listini azionari, attenuando contestualmente il nostro incubo circa il famigerato spread dei titoli pubblici.

Tutto bene, dunque? Non tanto. In pratica, l’opzione che si sta profilando, onde evitare un pericoloso effetto fallimento a catena, è sostanzialmente quella che la Banca centrale americana, la Fed, ha adottato da tempo: inondare di moneta il sistema. In questo modo si impedisce agli Stati ed alle relative banche di subire una irreversibile crisi di liquidità.

Tuttavia, dato che la moneta in eccesso non è mai gratis, il costo reale di questa linea di politica monetaria è semplice: maggiore inflazione, l’imposta più iniqua e occulta che si conosca. Ma si spera, ed è questa la scommessa principale del piano di salvataggio, di riassorbire una buona parte della liquidità immessa nel sistema attraverso una decisa ripresa dell’attività economica, vero antidoto proprio contro i deleteri effetti inflattivi.

Per questo motivo, a suo tempo, la Bce scrisse quella famosa lettera riservata al governo italiano, indicando alcune linee guida in favore di una politica di rigore e di sviluppo. Molto in breve, i Paesi beneficiari degli aiuti finanziari dovrebbero evitare di approfittare di questa importante boccata d’ossigeno per incrementare ulteriormente la filosofia del consenso da ottenere attraverso nuova spesa pubblica, poiché esattamente in questo modo le terapeutiche iniezioni di liquidità si trasformerebbero in un male peggiore di quello che si vorrebbe curare, innescando un incontrollabile processo inflattivo.

Tutto ciò, applicato all’Italia, dovrebbe condurre ad una prospettiva di medio e lungo periodo basata su un forte contenimento delle uscite pubbliche a tutto vantaggio di una decisa diminuzione del prelievo fiscale allargato. In tal modo, alleggerendo l’enorme zavorra che grava sull’economia privata, si creerebbero i presupposti per un significativo rilancio.

Un rilancio che, allo stato attuale, non potrà mai avvenire nell’ambito di un Paese che spende ben oltre la metà del reddito nazionale. Staremo a vedere.

Claudio Romiti