A dodici anni di distanza dall’acclamato American Beauty, il film che ha fruttato ad entrambi un Premio Oscar, è il teatro il complice della reunion fra l’attore statunitense Kevin Spacey e il regista britannico Sam Mendes. E non un teatro qualsiasi, ma il palcoscenico di cui Spacey è direttore artistico da otto anni, l’Old Vic di Londra.
L’occasione è la terza ed ultima stagione dei Bridge Project, la joint venture fra il teatro del South Bank, la Brooklin Academy of Music di New York e la casa di produzione indipendente Neal Streets di Mendes per l’allestimento partecipato e la messa in scena su entrambe le rive dell’Atlantico di spettacoli con cast che affiancano attori inglesi e d’oltreoceano.
E all’interno del cartellone della stagione 2011, di cui Mendes cura la regia come è già accaduto per le precedenti edizioni, Spacey diventa finalmente il protagonista, calandosi nei panni di Riccardo III, Duca di Gloucester, uno fra i personaggi più conosciuti del repertorio tragico di William Shakespeare.
Mendes punta su un adattamento “moderno” dell’opera del Bardo: l’utilizzo, in primis, delle uniformi dell’esercito britannico dei giorni nostri rimanda all’atmosfera della trasposizione per il grande schermo diretta da Richard Loncraine nel 1995, in cui il protagonista era facilmente avvicinabile ad Adolf Hitler. Quasi a risottolineare che una riflessione sulle conseguenze più barbare del desiderio di potere assoluto di alcuni attuali governanti è una necessità (una precauzione?) più che mai attuale.
Ed è una scenografia decisamente ridotta al minimo quella immaginata per questo allestimento, simbolo della inevitabile solitudine che un personaggio ambizioso e approfittatore come Riccardo è destinato prima ad auto-infliggersi e dopo a lasciare alle sue spalle.
Spacey, che ha confessato di essersi sentito intimorito in seguito alla decisione di Mendes di sceglierlo come protagonista, si abbandona completamente al lato oscuro dell’animo umano, fatto di cinismo, ironia pungente, compiacimento per la violenza gratuita, doppiogiochismo. E riesce a creare un’empatia totale con il pubblico, sfruttando al massimo quel discorso diretto che Shakespeare ha abilmente inserito all’interno dei monologhi del suo Riccardo III, quasi trasformandolo (intenzionalmente) nel suo cospiratore. E alla fine è un’ovazione.
Una volta terminate le rappresentazioni londinesi, e prima di quelle nella Grande Mela, dove il debutto è fissato per il gennaio del prossimo anno, lo spettacolo sarà in tournée al Festival di Atene e di Epidauro (nel teatro più antico del mondo), al Centro Niemeyer di Avilés in Spagna, all’Hong Kong Arts Festival e al Repertory Theatre di Singapore.
Luca Balduzzi