Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli USA contribuirono al processo di integrazione dell’Europa occidentale. Nel 1945 gli eserciti di Unione Sovietica e USA marciarono sulla Germania, che venne smembrata in due entità. Il rischio di un nuova guerra era alto, perciò Washington decise di creare un’alleanza militare – la NATO – per unificare i paesi occidentali sotto un’unica bandiera contro la minaccia comunista.
La Casa Bianca promosse accordi di libero scambio fra gli Stati Uniti e l’Europa e fra i singoli paesi europei, mettendo fine all’atteggiamento mercantilista che aveva caratterizzato i paesi del vecchio continente nei decenni precedenti e ponendo le basi per il mercato comune. Gli Europei si dedicarono alla creazione di un progetto di ampio respiro per unire i paesi del vecchio continente, spinti da due motivazioni principali:
1. la necessità di difendersi dai Sovietici durante la Guerra Fredda; 2. la speranza di garantire pace e prosperità all’Europa, lasciando alle spalle gli orrori del XX secolo.
Poiché le ferite della guerra erano ancora troppo calde, si evitò deliberatamente di discutere di due aspetti fondamentali: il futuro status della Germania e i diversi nazionalismi.
In passato l’Europa non fu mai unificata con la forza. La Prima Guerra Mondiale aveva poi dato il colpo di grazia anche agli imperi europei, causando la nascita di numerosi stati nazione e un’ulteriore frammentazione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Europei erano convinti che il nazionalismo fosse la causa degli orrori del XX secolo; per questa ragione occorreva creare una nuova entità europea che promuovesse l’unificazione economica e la solidarietà politica dei singoli paesi, senza però rinunciare all’identità culturale dei suoi membri.
Un’unione economica, ma non politica.
I padri fondatori evitarono di creare un’alleanza militare, dato che in passato esperimenti simili avevano condotto alle tragedie del XX secolo. Si dedicarono quindi alla ricerca della prosperità economica lasciando le questioni militari alla NATO e agli Stati Uniti. Allora tutti ritenevano che grazie a una maggiore integrazione dei mercati e alla nascita di una burocrazia europea fosse possibile superare i nazionalismi. La valuta unica, l’euro, doveva essere il coronamento di questa fiducia.
Tuttavia alcuni paesi europei, restii a cedere la propria sovranità, opposero subito resistenza; e ora che l’Europa si trova ad affrontare la prima vera crisi degli ultimi sessant’anni il nazionalismo è ritornato alla ribalta.
In fondo i Tedeschi sono tedeschi, e i Greci sono greci. Germania e Grecia sono paesi diversi, hanno sistemi di valori e interessi geopolitici diversi. È difficile pensare che siano davvero pronti a sacrificarsi l’uno per l’altro – tantomeno per l’Unione Europea. L’UE ha avuto il merito di garantire prosperità economica e pace ai paesi membri; ma ora che la situazione economica è pessima tutti i bei discorsi comunitari sono spariti e sono riemersi i conflitti – per ora solo a livello politico.
Grecia e Germania hanno visioni contrastanti sull’attuale crisi: i Tedeschi credono che la crisi sia dovuta in primis all’irresponsabilità del governo greco, che ha continuato a spendere e spandere per alimentare il potere politico, fino a falsificare i conti per entrare nell’eurozona; al contrario i Greci sostengono che la Germania, grazie al controllo della
politica monetaria dell’eurozona, abbia forgiato un sistema di regole a propria immagine e somiglianza, che danneggia economicamente i paesi più deboli. Entrambi hanno torti e ragioni.
I leader politici per ora continuano a negoziare, ma considerata la crescente pressione delle rispettive opinioni pubbliche lo spazio di manovra si fa sempre più sottile.
Un destino comune?
Secondo i principi del nazionalismo gli uomini si sentono legati ai loro concittadini perché sono consapevoli di condividere un destino comune. Gli Europei hanno tentato di creare istituzioni per superare il nazionalismo nella speranza di forgiare un unico destino per tutti i cittadini europei.
Il principio era semplice: porteremo ricchezza a tutti gli angoli dell’Europa, così nessuno si sentirà più legato all’una o all’altra nazione. Ma la ricchezza va e viene. Teoricamente sarebbero i paesi più forti, quelli che controllano le istituzioni e hanno maggiore ricchezza – Germania e Francia – ad avere l’onere di maggiori sacrifici; ma al momento sono i paesi più deboli, che hanno rinunciato a parte della propria sovranità a favore dell’unione, a dover affrontare i sacrifici maggiori.
Per ora le discussioni riguardano solo il futuro della valuta comune, ma è solo questione di tempo prima che si inizi a parlare della necessità di porre barriere fra i singoli paesi e limitare la libera circolazione di merci, capitali, persone e servizi.
La Germania ha un’economia florida e continua a esportare i propri prodotti in tutti gli altri paesi europei. Ma i Greci e i Portoghesi che ne pensano? Non sarebbe meglio – pensano in molti – rimettere in discussione le regole? Se così fosse, sarebbero gli stessi principi dell’UE a esser messi in discussione.
Il futuro dell’Europa dipenderà da come verrà affrontata la crisi, dal ruolo che svolgeranno politici, economisti, banchieri e mezzi di informazione.
L’UE ha sempre avuto l’obiettivo di superare le differenza nazionali e smussare i conflitti, per unificare i paesi europei sotto una bandiera comune. Se gli stati membri inizieranno a sentirsi traditi dai propri vicini, i progressi ottenuti se ne andranno in fumo.
Liberamente tratto da un articolo di George Friedman per Strategic
Forecasting.