Istruzione: ma i numeri della scuola italiana sono così negativi?

di Claudio Romiti

Ministro Gelmini

Le scuole hanno da poco riaperto i battenti e già nei giorni immediatamente precedenti i professionisti sindacal-politici della spesa pubblica hanno cominciato ad intonare i loro alti peana contro chi affamerebbe l’istruzione pubblica con tagli draconiani. E gli attacchi sinistri si basano sulle stesse argomentazioni da quarant’anni a questa parte: gli insegnanti sono pochi, le classi troppo numerose, le strutture fatiscenti, manca questo e manca quello. In sostanza, così come accade in ogni settore gestito direttamente dalla mano pubblica, si chiedono sempre e solo più soldi, come se tutto dipendesse dal livello della spesa. Ma sarà così? Ho qualche dubbio in merito al settore dell’istruzione.

Intanto, occorre premettere che nonostante i tagli “selvaggi” denunciati dall’opposizione politico-sindacale, il ministro Gelmini ha predisposto l’assunzione in tempi rapidi di oltre 66.000 nuovi addetti, tra docenti e personale di supporto (amministrativi e bidelli), il che porta ad incrementare ulteriormente quel colossale carrozzone della scuola pubblica il quale, molto correttamente, era stato tempo fa definito dalla stessa ministra dell’Istruzione come un enorme ammortizzatore sociale. Un carrozzone che, ricordiamo, assorbendo circa il 97% in stipendi delle pur ingenti risorse messe a bilanco, non ha i soldi necessari per dotarsi di infrastrutture adeguate e moderni sussidi didattici.

Inoltre, ed è questo il dato forse più eclatante, il numero degli insegnanti pubblici è così elevato che il nostro Paese ha in Europa il record negativo nel rapporto tra questi ultimi e la popolazione studentesca. Infatti, se in Italia ad un docente corrispondono circa 9 allievi, in Francia ed in Germania -tanto per fare un confronto significativo- il rapporto è oltre 1 a 20. Ciò vuol dire che in questi Paesi l’istruzione pubblica è garantita da una quantità di addetti che in proporzione è meno della metà della nostra. Ma non mi risulta, tornando ai citati sinistri piagnistei, che nè il livello della didattica sia più scarso di quello italiano, anzi, e nè che in tali Paesi vi siano scuole con classi di 70/80 alunni.

Evidentemente, dato che la matematica non è una opinione, anche per chi è uso a fare l’altruista coi soldi degli altri, se altrove si riescono ad ottenere risultati migliori nell’insegnamento con molto meno personale, e dunque con minore spesa, le cose sono due: o in Francia e Germania hanno trovato il sistema di iniettare scienza infusa nel cervello dei propri studenti, oppure da noi c’è qualcosa che proprio non quadra nella scuola pubblica. Sarei propenso per la seconda opzione.

Claudio Romiti