La quiete prima della (vera) tempesta?

31 ott – EURO – Le politiche di austerità imposte dall’Unione Europea non servono a nulla .La tempesta non è finita. E forse non è nemmeno cominciata del tutto. Anche se a livello mediatico c’è una fase di relativa bonaccia riguardo alla crisi europea. In particolare in Italia ci si è concentrati su questioni politi­che locali e si omette di raccontare (se non in minima parte) delle rivolte della Grecia e soprattutto della Spa­gna.

L’establishment vuole evitare l’effetto domino che potrebbe portare i milioni di disoccupati italiani a pro­testare proprio come stanno facendo a Madrid di settimana in settimana ormai da mesi. Il Governo Monti è ar­rivato addirittura a chiedere agli or­gani di informazione di non parlare troppo di spread, perché questo era un fattore di sfiducia.

E dopo il continuo rifocillare le ban­che di liquidità (a basso costo) da parte della BCE lo spread non sembra un problema urgente e il Btp-Bund si attesta ora attorno a quota 330, dopo aver ritoccato il massimo di 537 a fine luglio.

Il no Monti Day di ieri non ha modi­ficato l’assenza quasi totale (per for­tuna) di protesta violenta. In Italia l’assuefazione al malaffare è cronica, dai tempi dei rapporti tra i clientes e all’affiliazione ad un determinato “patronus”. Si è sempre andati avanti lo stesso, anche durante i ruggenti anni del boom economico.

Non deve, però, indurre in errore l’at­tuale fase di bonaccia della crisi dell’euro. Le economie dei Paesi de­boli europei si stanno avvitando in una recessione sempre più grave, mentre anche i tassi di crescita dei Paesi virtuosi (Germania in testa) co­minciano a diminuire. Infatti, dopo aver resistito per due anni alla crisi del debito europeo, anche la Germa­nia ora inizia a mostrare i primi segni di una possibile crisi. Il governo tede­sco ha infatti fatto delle modifiche alle stime di crescita previste per 2012 e 2013: mentre ci sarà un rialzo dallo 0,7% allo 0,8% per il 2012, le previsioni per il 2013 sono ora più basse, si passa infatti dall’1,6% all’1%. La crisi dell’economia euro­pea si affianca ad una crescita modesta dell’eco­nomia americana e a un forte rallentamento delle economie dei grandi Paesi emer­genti.

In Italia si prevede una contrazione del­l’1,9% del PIL

Una catastrofe per l’e­conomia, ma anche per le casse dell’erario già in forte deficit. Da molte parti si cerca di convincere Monti a non aumentare la pressione fiscale (IVA ad esempio), dai sindacati a Confindustria, da sinistra e da destra, ma la soluzione del “bocconiano” resta quella: “tassare per raggiungere il pareggio di bilancio.” Ma questo non può funzionare e non funzionerà. Come diceva Churchill: “ Una na­zione che si tassa nella speranza di diventare prosperosa, è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico”.

Le politiche di austerità stanno cla­morosamente fallendo, come era del resto scontato, ma non vi è un’alter­nativa credibile a questa linea. Infatti l’unica vera alternativa è cominciare a preparare la disintegrazione del­l’euro, ma questo passo non viene nemmeno evocato dai politici targati UE. Non è così per i cittadini europei che, ad esempio, in Francia hanno massicciamente sostenuto il Front Nazional di Marine Le Pen (20%) che propone l’uscita del Pa­ese dall’euro.

La protesta contro queste scelte si sta estendendo a macchia d’olio. E come Bart De Wever, il leader indipendentista fiam­mingo che ha vinto settimana scorsa le elezioni ad Anversa e ha chiesto al primo ministro belga, il socialista francofono Eio Di Rupo, di aprire ne­goziati per dare al Paese un sistema confederale. Anche in Italia si molti­plicano coloro che propongono l’uscita del Paese da Eurolandia. Alla Lega Nord di Bobo Maroni si è infatti affiancato il movimento di Beppe Grillo, che (stando ai sondaggi) sembra destinato ad ot­tenere un grande suc­cesso elettorale (PD 25%, M5S 22%).

E che proprio oggi è alla pri­ma grande pro­va elettorale nel­le regionali in Si­cilia, dopo una lunga campagna elettorale di cit­tà in città del comico genove­se seguito da mi­gliaia di persone in tutte le piazze.

Insomma l’inutilità delle politiche la­crime e sangue imposte dall’Unione Europea sta allargando il fronte di co­loro che vedono nella disintegrazione di Eurolandia l’unica possibile via di uscita dalla crisi. I sostenitori di queste tesi sono destinati a moltipli­carsi con l’aumento dei fallimenti delle aziende, l’incremento della pressione fiscale e l’esplosione delladisoccupazione.

Insomma la crisi è lungi dall’essere finita e le prospettive non so­no affatto rosee. 

Boris Bignasca

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