Al meeting di Comunione e Liberazione, il Capo dello Stato ha forse alzato un po’ il gomito istituzionale. Non alludo, per carità, a eventuali simpatie bacchiche del Presidente; perché altri, in cima al Colle, seppero onorare Bacco molto meglio di lui. C’è sempre una prima volta nella vita, e Napolitano non se l’è negata.
Suvvia, come si fa a non essere contagiati dall’entusiasmo e dal caldo abbraccio di tanti giovani? È stato più un intervento da “papa laico” che da inquilino del Colle. Comunque, meglio lui di cento Scalfaro messi insieme. Ha menato botte a destra e a manca, se l’è presa con il Cavaliere e con Bersani. Ha cercato di essere super partes in un ruolo assai debordante da quello rigoroso, austero e un po’ noioso di Presidente della Repubblica italiana, secondo il dettato di una Costituzione spesse volte tanto celebrata da apparire qualcosa di sovrannaturale; scritta da padri nobili discesi dal Sinai della politica a illuminare noi derelitti terrestri, abbandonati alla hobbesiana condanna dell’homo homini lupus.
Quando la situazione è complicatissima, e oggi lo è; quando il popolo è arrabbiatissimo con i politici, e lo è come mai prima; il Capo dello Stato scrive una bella, sostanziosa e solenne comunicazione alle Camere, secondo la Costituzione (articolo 87). Altrimenti il nostro amatissimo Presidente rischia di fare come quelle madri che rimproverano di continuo i loro ragazzi, ma vittime dell’iterazione al rimprovero senza effetto correttivo-disciplinare, finiscono per non essere più ascoltate dai loro vivaci frugoletti.
Siamo nell’epoca della comunicazione ridondante, dell’enfasi mediatica, dell’evento per l’evento, cosa volete che sia una lettera ufficiale del Capo dello Stato, quando ormai la lettera è divenuta un residuato romantico del bel tempo andato? E magari qualche amico ti dice:”Perché scrivi tante lettere? Stai forse male? Quasi quasi ti do l’indirizzo di un bravissimo psicoterapeuta “.
Guglielmo Donnini