Piuttosto che dire “cambio di sesso” meglio spiegare che si è intrapreso un “percorso di affermazione di genere”. Vietati anche i giri di parole come essere “dell’altra sponda” o “dell’altra parrocchia”: è preferibile dire gay o lesbica, sempre che l’intento non risulti offensivo. Da evitare anche “muso giallo” e “gnocca” così come “racchia” o “bangla”.
Solo alcune delle numerose raccomandazioni contenute nelle “Linee guida per un linguaggio inclusivo e rispettoso” varate a uso interno dall’Asl Torino 5 con apposita delibera firmata dal direttore generale, Bruno Osella.
Il lungo documento (reperibile sul web) comincia con un excursus sui pregiudizi, gli stereotipi e la possibilità non troppo remota che il tutto si traduca in vere e proprie discriminazioni, per poi passare a una serie di “consigli pratici” e, nella parte finale, a un vero e proprio “glossario” accompagnato da una serie di “regole grammaticali”.
Il decalogo del linguaggio inclusivo
Le frasi vanno riformulate utilizzando sostantivi non marcati o “termini ambigenere” che includano il riferimento a entrambi i sessi. Per esempio meglio scrivere “Care/i concittadine/i” in luogo di “Cari concittadini”, o “le persone volontarie” anziché “i volontari”. Ed è sconsigliabile l’espressione “patto fra gentiluomini”, evidentemente perché non contempla gentildonne: si scelga quindi “accordo sulla fiducia”.
Per ognuna delle espressioni da evitare c’è una colonna che riporta espressioni più consone da usare tra medici e pazienti. Alcuni esempi pratici: al posto di “deforme” si consiglia di usare “disabilità corporea” o legata all’aspetto fisico. Al posto di “nano”, meglio “persona piccola” o “persona di bassa statura”.
Sconsigliate le abbreviazioni tipo “paki” per pachistano o “bangla” per bengalese. Banditi anche “vu’ cumprà” e “zingaro”, ma anche “figa e gnocca”, in quanto “espressione sessualizzante, che collega l’aspetto estetico di una donna al suo organo sessuale”. Rientra poi nel campo del body shaming l’espressione “racchia” e così via.
Nel campo dell’orientamento sessuale – si legge nella circolare dell’Asl – sono da evitare espressioni come “dell’altra sponda” oltre a “frocio” e le sue alternative come “bardassa, bardascia, bucaiolo, buliccio, buso, busone, buggerone, cula, culattone, cupio, recchia, recchione, ricchione, sfranta, checca, finocchio, frocio, invertito etc…”
Da evitare assolutamente, come è ovvio, termini che sono palesemente insultanti, come “frocio” e i suoi numerosi derivati (l’elenco comprende “finocchio”, “badassa” e molto altro). Si resti fermi invece su “gay” o “omosessuale”.
“Siamo consapevoli e ce ne assumiamo la responsabilità, che dedicare un po’ del nostro tempo e della nostra energia a questioni come quelle trattate in questo documento ci espone a critiche e a prese di posizione ostili”, è l’esordio della presentazione. Però “gettare lo sguardo altrove non significa ignorare o sottovalutare i problemi più urgenti e ritenuti più importanti, ma, nel caso in specie, avere cura di applicare nella pratica alcuni dei principi fondanti del nostro sistema sanitario: equità, pari trattamento, uguaglianza dei cittadini senza distinzioni di sesso, di religione, di etnia, di età”. “Non è – si sottolinea – una questione secondaria: soprattutto per noi che ci occupiamo di persone fragili”.
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