Bancari, aumenti di stipendio fino a 435 euro in più al mese

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I bancari restano i campioni indiscussi degli aumenti retributivi nel triennio 2022-2024

I contratti nazionali firmati con Abi per i grandi gruppi a novembre 2023 e con Federcasse per le bcc a luglio 2024 hanno portato nelle tasche dei 300mila dipendenti delle banche italiane un incremento medio di 435 euro mensili. Numeri irraggiungibili per qualsiasi altro settore: la media generale degli aumenti negli altri 23 rinnovi siglati negli ultimi tre anni si ferma a 186 euro, ben il 57% in meno.

 I bancari rappresentano solo il 2,7% degli 11,2 milioni di lavoratori con contratti aggiornati, ma con stipendi che volano sopra tutti gli altri. La trattativa con Abi è stata chiusa a novembre 2023, dopo che, a giugno dello stesso anno, durante il congresso della Fabi, il segretario generale Lando Maria Sileoni è stato riconfermato per la quarta volta e Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, ha dato il via libera senza esitazioni alla richiesta di 435 euro.

Un accordo siglato in tempi record e che ha garantito un aumento del 14% agli stipendi dei bancari, con Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin a firmare il contratto. A luglio 2024, un rinnovo analogo è stato siglato per le bcc, con la firma di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Ugl. E ora guardiamo gli altri settori. I medici si fermano a 289 euro, il 34% in meno, con 150mila occupati, l’1,3% del totale.

Le autostrade? Solo 250 euro, il 43% in meno, con 50mila lavoratori, pari allo 0,4%. Il commercio, con 3 milioni di occupati (27%), ha registrato un aumento di 240 euro, il 45% in meno. Gli artigiani metalmeccanici, con 500mila lavoratori (4,5%), hanno ottenuto 216 euro, il 50% in meno. Gli studi professionali, con 200mila occupati (1,8%), si attestano a 215 euro, il 51% in meno. Stellantis registra 207 euro, il 52% in meno, con 80mila lavoratori, pari allo 0,7% del totale.

Le assicurazioni e la ceramica condividono un incremento di 205 euro, il 53% in meno, con rispettivamente 50mila e 40mila occupati, entrambi allo 0,4%. La pelletteria si ferma a 200 euro, il 54% in meno, per 25mila lavoratori, lo 0,2%. Il turismo, con 1 milione di occupati (8,9%), registra lo stesso incremento di 200 euro. Difesa e sicurezza? 198 euro, il 54% in meno, per 300mila lavoratori (2,7%). Le calzature arrivano a 191 euro, il 56% in meno, con 50mila occupati (0,4%).

La scuola si ferma a 190 euro, sempre il 56% in meno, per 700mila lavoratori (6,3%). La pubblica amministrazione registra un incremento di 165 euro, il 62% in meno, nonostante i suoi 3,5 milioni di occupati (31,5%). Nel settore legno si scende a 137 euro, il 69% in meno, con 100mila lavoratori, pari allo 0,9%. Energia e petrolio si attestano a 134 euro, il 69% in meno, con 80mila occupati (0,7%). Le cooperative sociali ottengono 120 euro, il 72% in meno, per 150mila lavoratori (1,3%).

Le ferrovie segnano un aumento di 110 euro, il 75% in meno, per 60mila lavoratori (0,5%). Comunicazioni e giornalisti, entrambi con 100 euro di aumento e rispettivamente 50mila e 20mila occupati, registrano un calo del 77% rispetto ai bancari. Chiudono la classifica il settore sanitario e gli autoferrotranvieri, con 90 euro di aumento, il 79% in meno, per 650mila (5,8%) e 70mila lavoratori (0,6%).

I bancari si confermano dunque un’élite indiscussa, con contratti che dettano legge nel panorama nazionale. Nessun altro settore si avvicina a questi numeri, segno di un comparto che continua a primeggiare nelle trattative sindacali e nei risultati ottenuti per i lavoratori. Non solo. Tutti gli aumenti vanno letti anche alla luce dell’inflazione che, nel periodo considerato, ha raggiunto livelli significativi, erodendo il potere d’acquisto dei lavoratori. Per i bancari, l’aumento del 14% è stato più che sufficiente a mantenere un ampio margine di vantaggio rispetto all’inflazione, mentre per molte altre categorie, gli incrementi salariali si sono rivelati del tutto insufficienti a compensare il caro vita.
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