Il cittadino extracomunitario può chiedere di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato anche se non ha il codice fiscale, nè un domicilio fiscale stabile in Italia. Per fare la domanda è, infatti, sufficiente che fornisca i suoi dati: nome, cognome, luogo e data di nascita, sesso e domicilio fiscale all’estero.
La Corte di cassazione (sentenza 38751) ha così accolto il ricorso di un giovane del Mali, classe 1998, contro la decisione del Tribunale di Milano di respingere la sua domanda per usufruire del gratuito patrocinio, perché privo del codice fiscale. Per i giudici non era valido quello che il suo difensore aveva ricavato attraverso un’applicazione on line, senza depositare i documenti richiesti per le verifiche fiscali utili per l’ammissione al beneficio.
L’obbligo di fornire il codice
I giudici di legittimità partono dalle norme. E precisano che il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Dpr 115/2002, articolo 79) prevede, a pena di inammissibilità della domanda di ammissione al patrocinio dei non abbienti, l’indicazione del codice fiscale. Una norma che va letta in “abbinata” con le disposizioni relative all’anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti (Dpr 605/1973 n.605) che contempla la possibilità, per i soggetti non residenti nel territorio dello Stato, di supplire all’assenza del codice fiscale italiano non attribuito, con l’indicazione dei loro dati anagrafici e il domicilio fiscale.
Con una sentenza costituzionalmente orientata, la Suprema corte conclude che non c’è ragione per escludere lo stesso trattamento anche per il cittadino extracomunitario irregolare ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio. Anche per il ricorrente del Mali è dunque sufficiente dichiarare i suoi dati e il domicilio in un altro Paese.
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