Siamo in un’Italia di matti. E la salvezza del nostro Paese sta forse nell’adeguarsi alla follia, e girarla a favore del buon vivere
di Vittorio Feltri – Non è una mia invenzione, non rubo le idee ai monumenti del progressismo letterario. Prima, molto prima che il generale Vannacci scoprisse Il mondo al contrario, per opporgli una certa misura di normalità, era stato Italo Calvino, compagno di scuola di Eugenio Scalfari a Sanremo oltre che grande scrittore vate della sinistra, a proporre di invertire la prospettiva dello sguardo: in un famoso romanzo, Il castello dei destini incrociati, illustra come si legga meglio la storia e si capisca di più del presente se si è appesi a testa in giù.
L’autore della scoperta è il paladino Orlando che, impazzito, vuol restare in questa posizione ribaltata, e pure con le mani legate dietro la schiena: ne ricava serenità. Dice a chi vorrebbe liberarlo: «Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge anche all’incontrario. Tutto è chiaro».
Propongo di adeguarci alla follia dominante, prendendo come squisitamente normale la famosa decisione del Tribunale di Roma: quella che ha dichiarato illegale il trasferimento in strutture site in Albania sotto la giurisdizione italiana di dodici migranti clandestini, allo scopo di esaminarne la posizione e trasferirli al più presto nel loro Paese d’origine. Così ha stabilito la legge approvata dal Parlamento. Il giudice sostiene che l’Italia non ha il diritto di rimandare i forestieri a casa loro, cioè in Egitto e in Bangladesh, perché non sono porti «sicuri».
Non importa che nell’elenco predisposto dai ministeri degli Esteri e dell’Interno, sentiti i nostri ambasciatori e la documentazione internazionale, siano stati giudicati tali (gli accreditati sono solo ventidue in tutto il mondo). Tutto sbagliato, tutto da rifare: la magistratura tiberina fa leva su una sentenza arrivata fresca fresca dal Lussemburgo, dov’è ubicata la Corte di Giustizia europea, per stracciare il catalogo dei promossi.
Per i giudici lussemburghesi basta un angolo di territorio, una porzione di città dominata da un’autorità illegittima, per far precipitare la detta nazione dall’empireo dei buoni alla lista nera dei Paesi da cui è lecito fuggire e chiedere asilo in Paesi sicuri. Vero è che nel nostro caso – in Bangladesh e in Egitto – in generale non esiste dittatura e il sistema giudiziario è indipendente e non applica la tortura, e, sempre in generale, offre garanzie di equità, ma a guardar meglio, e ad ascoltare i resoconti di certe associazioni umanitarie, ci sono anfratti di cattiveria e vi sono conculcate alcune libertà sessuali. Che fare?
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