Tuona il Comitato per la Giustizia ma “Carlo Nordio ha le mani legate”

Carlo Nordio

Gli elettori raccontano come i tribunali abbiano bloccato la vita economica dei cittadini, l’economia dell’Italia. I tantissimi eletti tra Camera e Senato ribattono “Che può fare Nordio?”

di Ruggiero Capone – “Nordio non può fare nulla, purtroppo”, afferma Pietro Giubilo (ultimo sindaco Diccì di Roma): incontriamo Giubilo al “Comitato per la Giustizia” costituito presso il nuovo ufficio legale del C.i.s. (Centro Iniziative Sociali) dall’avvocato Carlo Scala, dal professor Carlo Togna, dal senatore Domenico Gramazio e da un lungo elenco di avvocati e cittadini romani.

La sensazione è che magistrati, ben organizzati in una corrente, con potere sui maggiori quotidiani, e con i soliti nomi del giornalismo a loro servizio, possano a loro piacimento far chiudere aziende, disoccupare cittadini e ridurli in forme irreversibili di povertà. Soprattutto perseguitarli per tutta la loro esistenza, innescando un combinato disposto di azioni penali, civili, amministrative. Perché una certa quota della magistratura si considera parte di un intoccabile Olimpo, a cui è dato giocare con l’esistenza dei cittadini, dell’uomo di strada.

Cinque mesi dopo la sua elezione a presidente della Repubblica, Francesco Cossiga bacchettava il Consiglio superiore della magistratura che cercava di disarcionare Bettino Craxi (presidente del Consiglio) per la sua poca acquiescenza ai diktat della magistratura. Vale la pena ricordare che tutti i componenti togati (magistrati di professione) si dimettevano per protesta contro il governo Craxi: probabilmente il gesto era stato organizzato dai salotti nemici del CAF (accordo Craxi, Andreotti, Forlani). Ma la situazione veniva recuperata alla normalità, grazie ad un appello dello stesso Cossiga a recedere da quelle dimissioni in massa.

Cossiga aveva intuito l’ormai incontenibile strapotere delle toghe. Durante tutto il suo settennato aveva puntato al ridimensionamento dell’organo di autogoverno, al rafforzamento della politica e degli esecutivi.

“Il clima di antipolitica prendeva sempre più forma ‒ ci ricorda Pietro Giubilo (che allora mediava nella Dc tra Giulio Andreotti e Vittorio Sbardella) ‒ e Cossiga aveva minacciato più volte di sciogliere il Csm, e dopo non pochi vivaci confronti, soprattutto dopo che era stata amplificata e strumentalizzata la vicenda Gladio da una certa stampa vicina ad alcuni magistrati. Un clima di crescente delegittimazione giudiziaria che spingeva Cossiga ad inviare nel novembre 1991 la forza pubblica a Palazzo dei Marescialli, i Carabinieri circondavano in assetto antiterrorismo la sede del Csm. La presenza in aula dei Carabinieri con pieni poteri di polizia era stata l’estrema conseguenza d’uno scontro tra Cossiga, capo della magistratura ‒ chiosa l’ex Sindaco di Roma ‒ ed il partito dei magistrati togati”.

Tutto il settennato di Cossiga è stato un crescendo di toni teso al ridimensionamento della magistratura, “di quel Csm a cui il Picconatore voleva s’accedesse per sorteggio e non per giochi correntizi tra i nemici della politica” precisa Giubilo.

Un braccio di ferro perso da Cossiga, e culminato con la riforma del codice del codice di procedura penale, entrato in vigore il 24 ottobre 1989: con esso il potere politico italiano veniva consegnato ai pubblici ministeri.

Così tramontava il decisionismo politico, con Tangentopoli, con l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro che, con la scusa del sostegno alla magistratura contro la mafia, permetteva leggi che potevano garantire sospetti ed indagini su tutti gli italiani. Nasceva la stagione della spettacolarizzazione delle inchieste, dell’uso eccessivo delle intercettazioni, della violazione del segreto istruttorio. Da quel lontano 1992 questo paese non conosce più amnistia: concessione che ogni quattro anni, dall’Unità d’Italia al 1992, ha permesso il perdono e la rinascita di tanti cittadini, la riconciliazione tra l’uomo di strada ed il potere.

È da fine anni ’80 che l’Italia vive la stagione dei contrasti accesi tra politica e magistratura. Sembra non se ne possa sortire. E come dicono illustri penalisti, sollevando le braccia al cielo, “cosa potrebbe mai fare Nordio?”.

Il clima nel paese è sconfortante. “Si finisce intercettati, e sui giornali, anche per una semplice telefonata ad un parroco della Calabria ‒ ci garantisce un cassozionista di lungo corso ‒ Un contatto telefonico, anche casuale, con un presule o con un chiromante del catanzarese o del reggino pone il cittadino sotto la lente dell’antimafia”. “Basta anche solo parlare di una compravendita immobiliare o dell’interesse verso una bella donna di salotto ‒ aggiunge Vincenzo (legale romano originario di Locri) ‒ che si finisce attenzionati”.

Ma quello che più sconvolge è il quadro fatto dell’Italia nelle sedi internazionali da esponenti di Pd e 5Stelle: parlano solo male degli italiani, che in sintesi definiscono un popolo di mafiosi ed evasori fiscali, di irrispettosi cronici delle normative europee. Insomma, c’è un nucleo d’anti-italiani eletti nei parlamenti a Bruxelles e Roma che giustifica ed appoggia le persecuzioni contro i cittadini, il fallimento delle aziende, il blocco dell’economia. Nordio è uno solo, preparato e coscienzioso, ed ha le mani legate.
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