Caso “Open arms”: tra difesa dei confini, sbarco e diritti fondamentali

Caso "Open arms"

Non si può sostenere che la difesa dei confini dello Stato, che sono anche le frontiere esterne dell’Unione Europea, rappresenti un’esigenza sempre cedevole rispetto alla triade salvataggio-indicazione del porto-sbarco

a cura di Luigia Passaro () e Daniele Trabucco (*)
La Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo ha depositato, ex art. 121 del vigente Codice di Procedura penale e tramite i Pubblici Ministeri incaricati, la sua memoria conclusionale in merito alla vicenda «Open Arms» per la quale è imputato l’attuale Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché Vice-Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Salvini, all’epoca dei fatti Ministro dell’Interno nel Governo Conte I.

In particolare, al segretario federale della Lega sono imputati i delitti di sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio a fronte dei quali i Pubblici Ministeri hanno chiesto, alla II sezione penale del Tribunale di Palermo, la pena della reclusione di anni 06.

​Ora, la memoria conclusionale ricostruisce, in modo dettagliato, la situazione di fatto e di diritto e perviene alla conclusione che l’obbligo di salvataggio in mare, l’indicazione di un porto sicuro e lo sbarco dei migranti coinvolti abbiano, sul piano del diritto internazionale pubblico, una priorità rispetto alla pretesa difesa dei confini dell’ordinamento giuridico statale invocata dall’allora titolare del Viminale.

Se, da un lato, è indubbio che il dovere di soccorso in mare e di salvataggio di vite umane è una consuetudine internazionale, in seguito inserita in diversi Trattati internazionali, alla quale l’ordinamento italiano ha l’obbligo (doveroso anche sul piano morale e civile) di conformarsi in ragione della previsione di cui all’art. 10, comma 1, della Costituzione («L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute»), dall’altro non si può sostenere che la difesa dei confini dello Stato, che sono anche le frontiere esterne dell’Unione Europea, rappresenti un’esigenza sempre cedevole rispetto alla triade salvataggio-indicazione del porto-sbarco. Se così fosse, infatti, l’ordinamento giuridico italiano non disporrebbe di alcun strumento giuridico efficace per limitare l’immigrazione clandestina via Mediterraneo e porre un freno all’attività criminale degli scafisti.

L’art. 19, paragrafo 2, della Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982, della quale l’Italia ha autorizzato la ratifica con la legge ordinaria 02 dicembre 1994, n. 689, prevede che il passaggio di una nave possa considerarsi offensivo quando vi è il trasporto di persone che non possiedono i titoli per risiedere legalmente nel territorio dello Stato costiero (lett. g)). In merito a questo punto, nella memoria conclusionale dei Pubblici Ministeri della Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo, la disposizione normativa sopra ricordata viene letta in combinato disposto, ossia congiuntamente, con il precedente art. 18, paragrafo 2, in virtù del quale sono riconosciuti la «fermata e l’ancoraggio» se ciò è reso necessario e finalizzato «a prestare soccorso a persone, navi, aeromobili in pericolo o in difficoltà».

È evidente che una siffatta interpretazione rende di fatto inapplicabile l’art. 19, paragrafo 2, ogniqualvolta vi sia un soccorso in mare. Lo Stato costiero, in altri termini, fatto salvo il riconoscimento del diritto di asilo politico laddove sussistano i presupposti, sarebbe costretto ad accogliere sempre e comunque.

La ratio, invece, sottesa all’art. 19, paragrafo 2, è chiara: consentire agli Stati di poter considerare offensivo il passaggio ove il numero di soggetti privi dei titoli per soggiornare legalmente è tale da impedire un’accoglienza dignitosa o è tale da porre problemi di ordine pubblico etc.

In relazione ad un caso analogo, quello della Sea Watch 3, la Corte EDU (Corte europea dei diritti umani) con sede a Strasburgo, in Francia, nella sentenza del giugno 2019 non aveva indicato al Governo, quale strumento provvisorio urgente ai sensi dell’art. 39 del regolamento della stessa Corte, la misura dell’autorizzazione allo sbarco, ma solo quella di fornire assistenza legale ai minori non accompagnati ed assistenza di carattere umanitario. I giudici di Strasburgo, non ravvisando un imminente rischio di danno irreparabile, avevano ritenuto non sussistere la condizione dell’obbligo di sbarco, spezzando quell’automatismo salvataggio-obbligo di attracco e discesa e riconoscendo in questo modo all’Italia, quale Stato costiero, un margine di apprezzamento fino a quando la situazione non si fosse fatta insostenibile.

Quanto, poi, alla necessità, rimarcata nella memoria conclusionale, di indicazione di un «porto sicuro» (c.d. POS, in lingua inglese «place of safety»), questo non deve trovarsi necessariamente sulla terraferma, dal momento che possono essere considerati «sicuri» anche una nave o una struttura (ad esempio, una piattaforma petrolifera) su cui i naufraghi possano essere soccorsi e accolti in attesa di una successiva destinazione come, del resto, indicato nella Risoluzione MSC. 167(78) del 2004.

Non dimentichiamo, infine, che, all’epoca dei fatti (15 agosto 2019), era già in vigore il decreto-legge n. 53 del 14 giugno 2019 (convertito, con modificazioni, nella legge formale n. 77/2019), che, all’art. 1, riconosce proprio al Ministro dell’Interno, quale Autorità di Pubblica Sicurezza, il potere di vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica.

In conclusione: tra le ragioni (non sempre chiare e univoche) del diritto e le ragioni della politica, ci troviamo dinnanzi ad una fattispecie che si presta a strumentalizzazioni di carattere politico, che in uno Stato di diritto esigerebbe un definitivo intervento chiarificatore da parte del legislatore. Scrive Règis Debray, giornalista ed intellettuale socialista francese, nell’opera «Elogio delle frontiere»: «una frontiera riconosciuta è il miglior vaccino possibile contro l’epidemia dei muri».

(*) Avvocato del Foro di Padova
(**) Professore universitario strutturato in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato
presso la SSML/Istituto di grado universitario «san Domenico» di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico