NAPOLI, 10 FEB – Il dispositivo di sentenza non lasciava dubbi: condanna definitiva per concorso in tentata estorsione. Ma quando arrivano le motivazioni si scopre che – invece – il suo ricorso era stato accolto, addirittura, senza neppure un rinvio alla corte di appello. Peccato che, però, nel frattempo aveva espiato la pena in una cella del carcere di Poggioreale. Accade a Napoli, a un operaio di 40 anni incensurato accusato di avere fatto da messaggero tra la camorra e la vittima di un’estorsione. La sua storia giudiziaria è connotata da una serie di errori che il suo legale, l’avvocato Maurizio Capozzo, ritiene frutto di una “sciatteria senza precedenti”.
V.S., sposato e con figli, finisce ai domiciliari nel maggio 2020 per concorso in tentata estorsione aggravata. Al termine di un processo celebrato in abbreviato viene condannato a 4 anni. L’appello viene fissato nel 2022, ma la Corte non invia l’avviso alle parti, che quindi non si presentano e la sentenza di primo grado viene confermata senza potersi difendere. Imputato e avvocato però non ci stanno e presentano un ricorso in Cassazione. L’udienza viene fissata per il settembre 2023: il procuratore generale nella sua requisitoria condivide le doglianze difensive e chiede l’annullamento della sentenza di appello. La Corte, dopo poche ore di camera di consiglio, dichiara però il ricorso inammissibile e ordina l’immediato arresto. All’alba del giorno dopo V.S. viene chiuso in cella: deve scontare pochi mesi. Con la liberazione anticipata avrebbe sostanzialmente espiato la pena, ma resta circa un mese in cella.
Il colpo di scena a dicembre, quando ormai è libero. La Suprema Corte deposita le motivazioni: operaio e legale apprendono con stupore – misto a rabbia – che invece il loro ricorso era stato accolto. Sentenza annullata senza neppure rinvio. (ANSA)