di Elena Mirri – Salvatores in questo racconto autobiografico non ci dispensa nemmeno delle sue faccende più private, non tiene aree di mistero nemmeno per la sua vita sentimentale, non è avaro nel raccontarsi, elargisce aneddoti di ogni situazione, racconta di quando ha conosciuto personaggi anche discussi come Weinstein e Polanski scindendo i metri di giudizio sull’opera dalla vita privata, e narra dei tantissimi protagonisti del cinema, del teatro e della musica con cui ha avuto a che fare nella suo lungo percorso artistico.
Resta sempre umile anche quando ricorda della vittoria dell’Oscar con “Mediterraneo”, auto-definita immeritata – assegnatogli da quell’ engagement dell’Impero del Male di cui non gli importava niente -e lo ribadisce ancora il 5 dicembre 2023, nella sala Shakespeare alla presentazione della sua biografia al Teatro Elfo, che a suo avviso sarebbe stato più giustamente meritato l’Oscar a “Lanterne rosse”.
Salvatores non prende mai in considerazione di trasferirsi a Los Angeles proprio per quel modus ipercompetitivo dell’industria cinematografica americana che distruggeva la sostanza stessa del suo modo di fare cinema, per il fastidio per le competizioni e le rivalità, ricordando proprio il Marlon Brando che rifiuta il premio nel 1973 per protesta contro il trattamento dei nativi americani nell’industria cinematografica americana, anche lui stava dalla parte degli indiani fin da piccolo.
Scrive dei suoi esordi col gruppo teatrale Aquarius al liceo Beccaria, della chitarra elettrica, di spettacoli improvvisati in cui arte e politica erano fusi e reciprocamente funzionali, poi della creazione, sotto il segno di forti legami di amicizia e passione per il teatro, del gruppo dell’Elfo, vissuto come un collettivo formulato con una forte dimensione partecipativa con il pubblico, ed inizialmente sorto come gruppo teatrale itinerante. /Illuminante a riguardo anche l’innovativa mostra interattiva recentemente conclusasi, curata dalla scuola Luchino Visconti, in cui i protagonisti narrano degli spettacoli nei 50 anni di storia della compagnia.
Salvatores ci racconta della svolta della sua vita avvenuta subito dopo l’evocazione dei demoni della morte nello spettacolo Satyricon, quando la paura di morire gli tirò fuori il coraggio di vivere: fu una diagnosi a breve termine che lo spingerà a fare scelte decisive e progetti immediati, una delle quali era proprio la scelta del cinema rispetto al teatro, perchè il cinema è la casa del regista e il teatro la casa dell’attore. E’ così che si crea il suo percorso da regista che comincia con le riprese Rai per “Sogno di una notte d’estate ” dell’Elfo, che fu un grande successo teatrale; ma ” siccome io non so da che parte si comincia mi affiancano direttore della fotografia e una maga del montaggio” ammette con umiltà e candore.
A seguire continua con la fondazione come direttore creativo della Colorado film, insieme a Paolo Rossi, Diego Abatantuono e altri, come struttura indipendente per idee innovative di giovani registi. Avviò con Kamikazen e Marrakech Express, una stagione di nuovi sodalizi anche attraverso tornei di calcio con attori che non si conoscevano tra loro -come Fabrizio Bentivoglio, Diego Abattantuono, Giuseppe Cederna e Gigio Alberti- che si trovano in trasferta in pullman sul set itinerante in Marocco.
Attraverserà coi set dopo la Grecia per “Mediterraneo” anche luoghi esotici come il Messico di Puerto Escondido, Marzamemi in Sud, l’Australia in Quo Vadis baby? ma anche la Moldavia in “Educazione siberiana” e con l’India nel cuore ha l’idea di un film di fantascienza filosofica ancora da realizzare, “Il cromosoma Calcutta”. Passerà però il confine dei film di fuga con altri generi di film molto diversi fra di loro e anche molto innovativi per l’Italia come “Nirvana”,1997, girato al Portello, in cui si fronteggiano lo sviluppatore di un videogame e il protagonista del gioco che ha conquistato il libero arbitrio in seguito al contagio di un virus , “Tutto il mio folle amore”, incentrato sulla storia di un ragazzo autistico, o “Io non ho paura”, fino a “Denti” o “Amnesìa”, “Il ragazzo invisibile”, “Il ritorno di Casanova”, “Comedians”, “Fuori era primavera” .
Perchè un ragazzo oggi dovrebbe leggere questa biografia?
-Perchè capirebbe che si può anche scegliere di pagare di tasca propria una proroga dei tempi di ripresa per poter fare le cose artisticamente giuste secondo il regista.
-Perchè a volte si devono fare scelte di rottura dal proprio “bozzolo” e sono scelte coraggiose necessarie anche se rischiose, per obbedire all’ autenticità della propria indole artistica,o al proprio Daimon. “I veri rischi, a differenza della vita, me li sono presi facendo cinema e sperimentando generi, tecniche, cambiando strade.”
-Perchè impara l’importanza dell’ascolto degli altri ” Non ho mai voluto qualcuno che si adeguasse al mio pensiero fideisticamente, ho sempre preferito raccogliere il contributo originale degli altri.”
-Per tenere bene a mente che alla fin fine la vita è più importante del cinema anche se i film possono essere come una preghiera “perchè sono delle ancore di salvezza, perchè ti impediscono di pensare troppo ai tormenti della vita e farli, la pratica di farli, può essere consolatorio come una preghiera” .
-Leggere una biografia di un protagonista della generazione avanti alla tua che si è speso sui territori dell’arte e della politica è un pò come curiosare nel cassetto di un fratello maggiore che si è mosso nei tuoi binari per leggerne i percorsi e le tracce di una generazione, per vedere da vicino cosa facevano a Milano, qual’era il clima, la temperatura politica e l’effervescenza artistica dei giovani dal ’68 in poi .