“Per insegnare il rispetto va riconosciuta la differenza tra uomo e donna”

Massimo Ammaniti, psicoanalista

di Maria Sorbi – L’uccisione di Giulia impone una riflessione collettiva. Sui giovani, sui genitori, sui valori che predichiamo e su quelli che invece dimostriamo a fatti. Ci aiuta a mettere a fuoco le vie per «correggere il tiro» Massimo Ammaniti, psicoanalista e medico neuropsichiatra infantile, luminare sulle tematiche dell’età evolutiva.

Professor Ammaniti, l’esigenza di una rivoluzione culturale è evidente. Ma crede si stia seguendo la strada giusta?

«Si parla con troppa scioltezza di fluidità e la cosa mi lascia piuttosto perplesso. Le differenze di genere ci sono, non le possiamo cancellare né dobbiamo farlo. Sono d’accordo nel dire che non vadano estremizzate ma vanno riconosciute».

Perché lo dice parlando dell’assassinio di Giulia?

«Perché la psicologia dell’uomo e della donna è molto diversa e non possiamo non tenerne conto. Una ricerca dell’università di Cambridge ha dimostrato come nella donna sia molto più spiccata la capacità di immedesimarsi nell’altro e come invece l’uomo sia meno elastico in questo. E infatti vediamo come Giulia abbia cercato di capire il disagio dell’ex ragazzo e gli sia andata incontro, calandosi nei suoi panni. Filippo invece è rimasto imbrigliato nel suo narcisismo, in un’idea di realtà che aveva nella sua testa ma che non esisteva più».

Quindi la vera svolta culturale per prevenire tutto questo, dove sta?

«Riconosciamo le differenze di genere, il rispetto dell’altro. Capiamo l’importanza dell’empatia».

La sorella di Giulia parla di una società patriarcale. È d’accordo?

«I femminicidi ci sono, è innegabile. Accade molto meno spesso che una donna uccida un uomo. Nelle scuole il bullismo contro disabili e ragazze è marcatamente maschile. Spesso, dietro ai delitti, si cela l’idea che in fondo ci sia una responsabilità della donna. Che provocava, che fuggiva dal suo ruolo. Si enfatizzano spesso alcuni aspetti maschili come positivi: la potenza fisica, il dominio. Non si dice mai che la sensibilità è un valore più importante. Penso al caso di cronaca dei fratelli Bianchi, condannati all’ergastolo per l’omicidio di Willy. Fisicamente potentissimi, emblema della violenza. Con la madre che li compiaceva».

Ecco, i genitori. Cosa sbagliano? Perché non riescono a proteggere i figli e a insegnare il rispetto?

«I genitori devono smettere di compiacere i figli. È ora che imparino a gestire il contrasto con loro. Le famiglie hanno uno, al massimo due figli, e li tengono sotto la campana di vetro. In particolar modo, le mamme dei figli maschi li mettono sul piedistallo in maniera eccessiva, sono genuflesse davanti a loro. Il figlio maschio viene sempre giustificato».

La cronaca racconta di ‘bravi ragazzi’ che d’improvviso diventano killer. Quali sono i segnali di un rapporto amoroso malato?

«La possessività, la gelosia eccessiva e il controllo sono tre componenti che possono portare alla degenerazione del rapporto. Spesso si confonde la gelosia con l’amore. Amore vuol dire occuparsi della persona che si ha a fianco rispettando la sua individualità e la sua libertà. Tutto ciò che è controllo fa male: geolocalizzazione, spunta dei messaggi, verifica degli orari e degli spostamenti. E può essere un campanello d’allarme».

Cosa pensa dell’ora di educazione ai sentimenti nelle scuole?

«Un intervento serve, senza dubbio. Purché non sia la lezioncina tenuta da qualche prof dalla cattedra. Se dici a una classe una frase del tipo: ‘I maschi devono rispettare le ragazze’, stai pur certo che entra da un orecchio e esce dall’altro. Serve piuttosto un lavoro mirato, di gruppo in cui ragazzi e ragazze si possano calare gli uni nei panni dell’altro. Però non so se abbiamo insegnanti adatti a farlo. Bene quindi introdurre nelle scuole psicologi o influencer con un progetto strutturato».
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