Bomba o non bomba? Il caso delle ex Officine Reggiane riqualificate

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Il caso di Reggio Emilia: un’ex officina, area di guerra, sta tornando alla vita urbana con un piano di riqualificazione ma ci sono dubbi sulla bonifica profonda

di Antonio Amorosi per www.affaritaliani.it – “Se lei mi chiede se là dentro ci possono stare delle bombe, io per buon senso e per logica le rispondo di sì”, spiega ad Affaritaliani Giovanni Lafirenze, ex bonificatore, ancora assistente tecnico BCM (gli esperti che si occupano di scoprire le bombe inesplose rimaste sui terreni di guerra). Lafirenze è attualmente collaboratore dell’Associazione nazionale Vittime Civili di Guerra (ANVCG).

Ancora nel 2018 vennero trovate due bombe inesplose nell’area dell’ex Officine Reggiane, 26 ettari a ridosso della ferrovia e del centro storico di Reggio Emilia, con evacuazione della zona antistante. Eppure l’area è parte di un piano di riqualificazione e rigenerazione urbana, finita all’attenzione dell’avvocato e deputato di Reggio Emilia Gianluca Vinci che con un’interrogazione al ministro della Difesa Guido Crosetto chiede se è “a conoscenza della situazione di grave rischio da ordigni bellici esplosivi, presente nell’area ex Officine Reggiane”.

Questo perché le ex Officine, colosso industriale del centro Italia nato nel 1904 per la produzione di locomotive, aerei, carri merci, carrozze, veicoli, attive durante la seconda guerra mondiale e bombardate dagli Alleati si apprestano a tornare alla vita con attività urbane tra cui residenze universitarie.

Il Comune di Reggio Emilia, al fine di recuperare l’area ha costituito la Società per la Trasformazione Urbana STU Reggiane s.p.a. . Sull’area, scrive sempre Vinci, insistono “almeno due programmi di riqualificazione, ovvero l’accordo fra Comune, Unimore e Stu Reggiane e Unindustria per destinare all’attività didattica il capannone 15C delle ex Reggiane per un valore di circa 10 milioni di euro e l’accordo fra Comune di Reggio Emilia, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, Acer e Stu Reggiane spa per la candidatura della Palazzina Uffici delle ex Officine Reggiane (la cosiddetta Palazzina M), ad ospitare alloggi universitari, servizi per gli studenti e per il quartiere, dal valore complessivo di 14,1 milioni di euro, candidato al Bando del ministero dell’Istruzione per l’erogazione di finanziamenti per interventi volti alla realizzazione di strutture residenziali universitarie programmato, in parte, con le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”.

Il problema, come scrive il deputato, è che molti di questi ordigni non sono individuabili a vista ma andrebbe eseguita un’azione preventiva di ricerca più profonda per essere sicuri che l’area sia libera.

“Ho una lunga esperienza nel settore”, racconta Giovanni Lafirenze “ho iniziato nel 1983. Anni fa facemmo una bonifica di 3500 metri tra le ferrovie reggiane e il ponte vicino, con committente il Comune di Reggio Emilia. E’ la zona dove sono le ex Officine ed è una zona bombardata. Abbiamo trovato tre bombe di aereo ad un metro e mezzo di profondità e un cratere di una bomba più pesante a 6 metri di profondità. E’ la testimonianza del bombardamento dell’area. Le fabbriche venivano bombardate, ci sono le testimonianze”.

E cosa dovrebbe fare allora il Comune?

Lafirenze: “Come fece con noi, dovrebbe rivolgersi alle autorità competenti, al quinto Reparto Infrastrutture di Padova che dipende dal genio della Difesa di Roma”.

La conferma della situazione problematica anche da Amos Conti, esperto di storia bellica locale, nel suo volume “Ventiduemila bombe su Reggio” che descrive con dovizia di particolari e documenti d’epoca il più grande bombardamento della seconda guerra mondiale sul territorio.

“La gente pensa che le bombe inesplose di 80 anni fa siano un residuato incapace di fare del male”, racconta ad Affari il segretario dell’ANVCG Roberto Serio, “in realtà sono più pericolose perché più instabili. Una mina anticarro che nel 1945 era progettata per esplodere con la pressione di un peso di 450 kg, quindi al passaggio di un carro, oggi esploderebbe al passaggio di una persona di 80 kg di peso”.

Come è accaduto qualche anno fa a Nicolas Marzolini, 26 anni che racconta la sua drammatica esperienza ad Affari. “Con due amici stavamo arando un campo per piantare patate, a Novalesa, in Val di Susa, avevamo 15 anni. Abbiamo trovato un oggetto rosso argentato che pensavamo fosse un lumino, era una bomba a mano. Con l’esplosione ho perso la mano destra e la vista, Lorenzo, l’altro mio amico, ha perso la vista. Il terzo nostro amico si è salvato perché era alle nostre spalle”.

A 80 anni di distanza dalla Seconda Guerra mondiale troviamo ancora bombe di questa potenza. Pensi a cosa possono trovare oggi in Afghanistan, Iraq e cosa troveranno in Ucraina?”, si interroga Serio.

Pochi ne sono consapevoli ma il Belpaese è un ancora un territorio con una forte presenza di bombe sottoterra. Marzolini: “Nel 2022 sono stati bonificati in Italia 60.000 ordigni a terra e 20.000 in mare. Accade così più o meno ogni anno, con una media di 6-8 incidenti. L’anno scorso ci sono stati 2 morti, quest’anno un morto in provincia di Vicenza con un ordigno della prima guerra mondiale che una persona si è trovato in casa dentro un muro, una specie di cavo. L’ha tagliato col flessibile pensando ad uno spunzone, non sapendo fosse una bomba”

Oggi a Reggio Emilia la conferenza stampa del parlamentare e dell’associazione ANVCG per chiedere chiarezza sulla situazione.