di Matteo Brandi – Lo scandalo delle blacklist di Twitter si allarga. Grazie ai documenti resi pubblici sul social, ora abbiamo il quadro di come agisse la macchina della censura.
In pratica i profili ritenuti scomodi (in stragrande maggioranza, guarda un po’, anti-globalisti) venivano messi in una vera e propria lista di proscrizione. Ad occuparsi di ciò era una squadra di dipendenti Twitter che marchiava a fuoco i profili per applicare la “Visibility Filtering”, ovvero il filtraggio della visibilità.
E così i tweet di chi metteva in dubbio le politiche vaccinali o esprimeva idee più conservatrici finivano per essere azzoppati. Tutto senza che i diretti interessati potessero fare nulla per difendersi. Questo impediva a certi “threads”, ovvero agli argomenti di discussione, di finire in tendenza. E influiva enormemente sul dibattito politico sulla rete, che vede spesso in Twitter uno dei principali campi di battaglia.
È una vergogna che chiunque bazzichi Twitter denuncia da tempo, ma i globalisti (palesemente in malafede) hanno sempre negato la realtà delle cose, tacciando di complottismo chiunque facesse notare il palese squilibrio di giudizio nella moderazione dei contenuti.
Ora qualcuno dirà: vabbè, ma chissenefrega, io non sto su Twitter. Eh no, signori. Oggi, purtroppo, chi controlla i grandi social ha la possibilità di influenzare miliardi di persone. In gioco non ci sono solo le azioni di Twitter o Facebook, ma ciò che resta della democrazia.