POLITICITÁ, POLITICA E VERITÁ – A partire dall’intuizione del filosofo inglese Francesco Bacone (1561-1626) di mettere tra parentesi il problema metafisico e dalla rinunzia, con Rosseau (1712-1778), di mostrare la vera origine delle cose (il principio che sta e che non si lascia contraddire come insegna Eschilo) in nome di una conoscenza che permetta di prevedere e padroneggiare gli eventi, la scienza politica, prima moderna e poi contemporanea, si è fermata dinnanzi a qualunque tensione verso la Verità, pervenendo, lo scriveva magistralmente il prof. Marino Gentile (1906-1991), ad un “arresto dommatico della ricerca speculativa”. Questo significa, allora, abbandonare qualunque indagine circa il fondamento di ogni discorso incluso quello politico il cui perimetro rimane quello della modularità dei c.d. valori.
La conseguenza di questa impostazione è gravissima: la politicitá non è piú qualcosa di connaturale alla persona umana ed al suo essere “animale politico” aristotelicamente concepito, ma diventa l’artificio che permette il passaggio verso la costruzione di “un ordine artificiale”, di un qualunque ordine, ove il potere è chiamato a tradurre in norme positive le istanze insaziabili della collettività elevandole a diritti in nome di una pretesa autodeterminazione assoluta della persona (per cui il problema dei diritti, insegnava il filosofo del diritto Gioele Solari (1872-1952), da politico si fa costituzionale ).
Rinunciando a “penetrare l’essere” e limitandosi a prendere atto dei fenomeni, la politica non è più in grado descrivere l’essenza e l’esistenza di una cosa e, dunque, di orientare verso il fine insito nella natura (erroneamente intesa in senso meccanicistico-biologico) di ogni ente, riducendosi a mera mediazione compromissoria. Affermava Bismarck (1815-1898): “la politica è l’arte del possibile e la scienza del relativo”.
Filippo Borelli
Daniele Trabucco.