(Fabrizio Peronaci – roma.corriere.it) – Ha visto pazienti umiliati, nudi sul materasso, esposti agli sguardi di tutti. Donne rannicchiate nelle loro barelle, a implorare una coperta, un pannolone, un antidolorifico. Infermieri che fingevano di non vedere. Dottoresse frettolose, sgarbate. Ha solidarizzato con gente sconosciuta sentendo i pianti, le imprecazioni. E a un tratto, voltandosi, si è accorta che l’uomo a fianco a lei, a torso nudo, aveva un colorito strano…
Inferno San Camillo. Dopo le denunce della signora di 82 anni con occlusione intestinale in corso rimasta per 11 ore in attesa di una visita al Santo Spirito, del fiscalista morso dal cane e parcheggiato senza cure al Grassi e della docente universitaria esterrefatta quando, al Sant’Eugenio, le hanno ispezionato la gola usando la torcia di un telefonino, nel mirino finisce il grande ospedale sulla circonvallazione Gianicolense.
Struttura d’eccellenza, per molti versi. Ma anche, nella prima linea del pronto soccorso, un luogo che può calpestare ogni dignità e diventare orribile. Quella di Antonella Vittore, 47 anni, funzionario di un importante ente pubblico, è una testimonianza-choc: dopo lunga riflessione, ha deciso di rendere pubblica la sua «allucinante esperienza», nella speranza che possa servire «a rendere i politici più consapevoli che la sanità pubblica non è cosa loro, che non può essere gestita come altri settori, ma deve essere all’altezza di un Paese civile e al servizio di tutti noi che paghiamo le tasse».
Ore 19 del 24 maggio 2022. Antonella, che abita al Flaminio, cade dal motorino su ponte Matteotti. È con suo fratello, medico. Stanno andando a Trastevere. La ruota si incastra nel binario del tram e lo scooter le crolla di peso sul piede sinistro… «Il piede sanguinava tantissimo e la ferita aveva scoperto il tendine. Un dolore terrificante, da svenire. L’ambulanza è arrivata dopo circa 40 minuti». Non poco. Ma è solo l’inizio. «A bordo ho trovato infermieri gentili, ma un disorientamento totale. È partito il circo per capire dove portarmi, visto che necessitavo di un ospedale con un reparto di ortopedia e uno di chirurgia degli arti. Allora siamo passati prima al Santo Spirito e poi al Fatebenefratelli, sull’isola Tiberina, dove ci hanno respinti. Tempo perso. Altra sofferenza. Fino a che, attorno alle 20.30, finalmente arriviamo al San Camillo…
Eccoci. Le speranze di essere curati e assistiti bene dopo un trauma – qualcosa di normale, in un welfare compiuto – svanisce all’istante. «Per me – racconta la funzionaria dello Stato – è stato come varcare le porte dell’inferno. Diciotto ore di pronto soccorso in condizioni disumane. Quel giorno c’erano stati parecchi accessi. Quindi col piede sanguinante e addosso il tremore della scarica di adrenalina, sono stata messa su una barella e portata in quello che chiamano “la zona nuova del PS”. Praticamente uno stanzone-bunker in cui c’erano più o meno 60 malati. I telefonini non prendevano. Ho avuto subito una crisi di pianto. Nessuno si è degnato di chiedermi qualcosa, almeno mi avrebbe infuso coraggio»…
Quale la scena?
«Appena arrivata mi guardo attorno… Tante persone stavano male. Molti anziani erano in evidente stato di scompenso mentale. Una signora, fratturata al femore, era stata legata al letto e ha parlato ad alta voce tutta la notte. Altri si lamentavano urlando, io imploravo un antidolorifico chiesto alle 3, che mi hanno dato soltanto alle 8…
Ma un fatto in particolare mi ha turbata e non dimenticherò mai. Un signore con un colorito stranissimo. Lo guardavo e pensavo che dovesse stare proprio male… Sembrava morto… Ebbene, ho realizzato solo dopo un po’ che era morto davvero! E’ rimasto lì per oltre un’ora. Scoperto. Sulla settantina, a torso nudo. La faccia al soffitto, gli occhi vitrei. I fogli dell’Ecg erano linee piatte srotolate e ce n’erano almeno cinque metri, segno che era successo da parecchio. Poi sono venuti due infermieri che l’hanno coperto e portato via».
Si ferma. Tira il fiato. E il piede, la frattura? «Sono stata visitata dalla dottoressa di turno dopo un paio di ore. Mi ha medicata e detto che era stata richiesta la visita ortopedica e l’Rx, e poi la visita del famoso chirurgo degli arti. E che dovevo aspettare. Nel frattempo malati che urlano, si disperano, implorano un sorso d’acqua… Nulla. Gli infermieri passano e fanno finta di non sentire. Ad un certo punto chiedo di andare in bagno. Niente, non si può, mi devono mettere un pannolone e la devo fare lì. Ovviamente con conseguente fuoriuscita di urina che mi sporca gli abiti che avevo addosso. Io rientravo dal lavoro, quindi vestita con tailleur, truccata, ballerine ai piedi, lenti a contatto.
Dalla serenità di un giorno qualsiasi all’angoscia delle ore che passavano nello stanzone-bunker senza sapere quanto sarei rimasta». Siamo ormai nel cuore della notte. La paziente viene portata a fare un Rx. «Attesa infinita anche lì. Mi riportano nello stanzone e nessuno mi dice nulla. Chiedo di parlare con un medico. Nessuno viene. Intanto la notte va avanti tra nuovi ingressi, persone anziane che urlano, malati sporchi di feci e infermieri che rispondono in malo modo che non tocca a loro cambiarli… Riesco ad appisolarmi»
Attorno alle 2 e mezza si materializza il dottore: dall’incidente a ponte Matteotti sono passate quasi otto ore. «L’ortopedico, nel mio stordimento da risveglio notturno, mi dice che ho una frattura ma non possono ingessare per le ferite che ho riportato e che dovrò usare un calzare, da comprare a mie spese. Se ne va. Passano altre infinite ore… Vedo attorno casi agghiaccianti. A una signora arrivata con un dolore al petto viene fatto l’Ecg. Lei prova timidamente a dire che soffre di pressione alta. Viene trattata male e liquidata. La mattina passando accanto alla mia barella mi dirà: “Ho firmato, me ne vado a casa. Meglio morire lì che qui…”
Una donna colpita da ictus viene lasciata nuda. Un’altra, in preda a dolori lancinanti alla schiena, dopo un bel po’ viene visitata e si scopre che ha un collasso delle vertebre. Quindi non può più alzarsi per andare in bagno. Le viene messo il pannolone e le viene fatto un clistere: poi viene lasciata sporca per ore. Era accanto a me, ho sentito bene quante volte ha implorato aiuto…»
L’alba è spuntata da un pezzo, il pronto soccorso è sempre strapieno. La signora nel frattempo ha scattato delle foto in cui si vede in primo piano il piede fasciato (male) e dietro la selva di barelle, tra le quali quella del signore appena defunto. «Alle 8 chiedo di parlare con il medico. Nulla. Allora mi alzo e assumendomi il rischio vado nella stanza dove c’era una dottoressa che mi verrebbe da dire non ha fatto il giuramento di Ippocrate. Sto lì, aspettando di conferire, e lei mi tratta in malo modo dicendo che non posso stare col piede sanguinante, che sporca tutto…
Ripete di essere impegnata con un codice rosso, cosa non vera, e a quel punto perdo la pazienza. Le dico che pretendo di sapere e lei candidamente mi risponde “io non so neanche chi è lei”…. Ah bene… neanche sai chi c’è nel reparto di cui sei responsabile? Le dico che sono lì dalle 8 della sera precedente e vorrei andare in una clinica privata. Mi manda a quel paese. Fatto sta che dopo poco arriva il famoso chirurgo degli arti che mi medica, mette i punti di sutura e spiega tutta la situazione, trattandomi come un essere umano…»
Morale: chi strilla la vince. Triste ma vero. La signora Antonella Vittore è tornata a casa alle 14.30 del giorno seguente, dopo aver saltellato su un piede fino al taxi… «La prego, scriva tutto. I malati sono abbandonati a se stessi. Medici e infermieri sono pochi, è vero. Ma non basta a spiegare. C’è anche mancanza di umanità, di empatia verso chi soffre…».
Fronte San Camillo, Roma. (fperonaci@rcs.it)